Ritratto di Diana, Principessa del Galles, durante gli ultimi due anni della sua vita, quando sembrava aver finalmente trovato la vera felicità e raggiunto successi personali sul piano dell'attivismo umanitario internazionale.
SCHEDA FILM
Regia: Oliver Hirschbiegel
Attori: Naomi Watts - Principessa Diana, Naveen Andrews - Dott. Hasnat Khan, Douglas Hodge - Paul Burrell, Geraldine James - Oonagh Toffolo, Charles Edwards - Patrick Jephson, Cas Anvar - Dodi Fayed, Juliet Stevenson - Sonia, Daniel Pirrie - Jason Fraser, Jonathan Kerrigan - Colin, Laurence Belcher - Principe William, Harry Holland - Principe Harry, Leeanda Reddy - Nasreen, Art Malik - Samundar, Rose O'Loughlin - Infermiera Denise, Michael Hadley - Joseph Toffollo, Christopher Birch - Ronnie Scott, Michael Byrne - Christiaan Barnard, Raffaello Degruttola - Mario Brenna, Nathaniel Facey - Dwayne Johnson, Usha Khan - Naheed, Rafiq Jajbhay - Rasheed, Tessa Jubber - Christina Lamb, Prasanna Puwanarajah - Martin Bashir, Enzo Squillino Jr. - Greg, Max Wrottesley - Ian
Sceneggiatura: Stephen Jeffreys
Fotografia: Rainer Klausmann
Montaggio: Hans Funck
Scenografia: Kave Quinn
Arredamento: Niamh Coulter
Costumi: Julian Day
Altri titoli:
Caught in Flight
Durata: 113
Colore: C
Genere: DRAMMATICO
Specifiche tecniche: ARRICAM LT/ARRICAM ST, (2K)/SUPER 35 (3-PERF)/SUPER 35 STAMPATO A 35 MM/D-CINEMA
Produzione: ECOSSE FILMS, IN COPRODUZIONE CON FILMGATE FILMS, LE PACTE, SCOPE PICTURES, FILM I VÄST
Distribuzione: BIM
Data uscita: 2013-10-03
TRAILER
CRITICA
"Povera Diana, morta due volte! Una volta nel sottopassaggio parigino del Pont de l'Alma, l'altra sullo schermo, in un film che avrebbe voluto raccontarne il dolore e la sofferenza e invece finisce per sfruttare ancora una volta la sua breve e infelice vita. (...) tutto (...) raccontato da Oliver Hirschbiegel con la piattezza di un fotoromanzo a fumetti e lo stile di uno sceneggiato pomeridiano. Nonostante gli sforzi di Naomi Watts (che solo a tratti riesce a trasmettere un po' di umanità alla sua Diana), le battute e la messa in scena sono così piatte e prevedibili da annullare subito il fascino del personaggio. Troppo determinata da una parte e troppo fragile dall'altra, la protagonista del film sembra un burattino in balia degli eventi. Senza il dramma del Destino ma anche senza la passione del Melodramma." (Paolo Mereghetti, 'Il Corriere della Sera', 2 ottobre 2013)
"Gli ultimi annidi Lady D raccontati come un grande romanzo rosa. Senza inutili dietrologie, senza stare troppo a interrogarsi sul peso politico e mediatico del personaggio, né tanto meno speculare su possibili complotti. Ma puntando tutto sui sentimenti, che sono universali e soprattutto insondabili. È il concetto centrale di questo film diretto dal tedesco Oliver Hirschbiegel, che (...) ricostruisce l'ultimo atto della principessa triste martellando dall'inizio alla fine su uno e un solo elemento. C'è stato un terzo uomo dopo il principe Carlo e prima di Dodi Al-Fayed. (...) Non sono solo illazioni, sia chiaro. Dietro la sceneggiatura di Stephen Jeffreys c'è la biografia romanzata di Kate Snell (Sperling & Kupfer). Ma il film si siede su questa chiave già semplicistica senza mai usarla per leggere in una luce più penetrante la vicenda (...). La Diana di Hirschbiegel infrange (...) con indifferenza, i tre punti che ogni film biografico dovrebbe evitare come la peste. Il primo potremmo definirlo la sindrome del cameriere, dal detto di Hegel: Nessun grand'uomo è tale per il suo cameriere. Lo sapevamo, grazie. Se qualcuno dedica un film a una celebrità salti questo passaggio, o almeno lo dia per scontato. Invece il regista non perde mai occasione di insistere sui dettagli minuti che dovrebbero umanizzare e imborghesire la povera Diana. Dalle scarpe sfilate appena mette piede in casa agli orsacchiotti di peluche sul divano (con un bel momento, siamo giusti: quando esasperata dalla rottura Lady D rincasa in tutta furia e si mette al piano per suonare Bach con l'impermeabile addosso ma a piedi nudi, appunto). Secondo pericolo: puntare tutto sui dialoghi. Se non si ha a che fare con Anna Bolena ma con un personaggio che ha passato la vita a farsi inseguire da paparazzi e cameramen, un film degno di interesse dovrebbe insistere sulle immagini e la loro ambiguità (...). A meno di avere a disposizione fonti di primissima mano e un dialoghista del livello di Oscar Wilde. Il terzo pericolo, addirittura ovvio, consiste nella somiglianza. Non serve un sosia per rievocare una celebrità, ma bisogna almeno evitare le false somiglianze. Ora, benché bionda e inglese, almeno di nascita, la minuta e nervosa Naomi Watts, peraltro eccellente attrice, non ricorda nemmeno lontanamente Lady D. Non ha il suo sguardo ferito e insieme ironico, non il suo sorriso, né la sua corporatura. Dettagli, si dirà. La rappresentazione dovrebbe essere più forte della realtà (delle apparenze). Non conta la somiglianza, conta l'adesione interiore. Ma in mancanza di quella, per semplicismo di fondo, la poca somiglianza diventa un vero boomerang. Alla fine la figura più interessante del film, bel paradosso, è quella del chirurgo, che ha il vantaggio di essere un perfetto sconosciuto. E quando poi si sfiorano i passaggi più sensibili nella parabola della principessa, come la campagna contro le mine antiuomo fra i piccoli mutilati in Angola, la disinvoltura e la leggerezza dell'impianto diventano davvero stridenti. Un'occasione perduta. Anzi, forse nemmeno cercata." (Fabio Ferzetti, 'Il Messaggero', 2 ottobre 2013)
"Accettare la parte della principessa più famosa del mondo in un film era già un azzardo. Farlo sulla base di una sceneggiatura che sembra copiata da «Cuori rubati», sotto la direzione di un regista che ha candidamente ammesso di non essersi mai interessato a Diana prima del film, è stato forse il più grande errore della sua carriera. (...) Naomi Watts non sembra mai Diana: è molto più bassa di lei, ha sempre il viso teso mentre la principessa era radiosa negli ultimi anni della sua vita, non sembra nemmeno inglese, e non c'è modo di imitare quella voce da bambina che tutti ricordano mentre dice in tv: «Nel nostro matrimonio eravamo in tre». (...) Il film piacerà agli appassionati delle soap opera e li farà piangere, e farebbe la sua bella figura nella programmazione pomeridiana di Retequattro. Ma con Diana c'entra poco. (...) Preoccupati dall'accoglienza al vetriolo ricevuta in Gran Bretagna, Naomi Watts, il regista Oliver Hirschbiegel e Naveen Andrews, che interpreta Hasnat Khan, hanno detto che il film ha cercato in tutti i modi di essere rispettoso della memoria di Diana. Ma c'era un modo migliore di essere rispettosi: non farlo." (Vittorio Sabadin, 'La Stampa', 2 ottobre 2013)
"Dovrebbe raccontare gli ultimi due annidi vita di Diana, ma sembra una soap opera o l'adattamento di un romanzetto rosa da spiaggia. (...) Non aspettatevi un documentario ma la drammatizzazione di una storia d'amore che se fosse stata pura fiction avrebbe potuto anche funzionare. Non, però, con questa pretesa di raccontare, attraverso dialoghi a volte fastidiosamente sdolcinati e con taglio da pellicola televisiva pomeridiana, una reazione realmente avvenuta e così importante nella vita della Principessa. (...) Da salvare è la strepitosa performance di Naomi Watts, magnetica nel replicare l'unicità di un mito. È quasi maniacale nel riprodurre la complessità e la vulnerabilità di Lady D. Solo per la sua prova d'attrice, val la pena andare in sala. Non è altrettanto efficace Naveen Andrews nella parte di Hasnat, travolto dalla banalizzazione con la quale è ritratto il suo personaggio. C'è chi ha scritto, impietosamente, come il critico del Guardian che «la tremenda verità è che 16 anni dopo quel terribile giorno, nel 1997, lei è morta di un'altra morte orribile». Difficile dargli torto." (Maurizio Acerbi, 'Il Giornale', 2 ottobre 2013)
"Il tempo: i due anni che precedono la fine. Il tema: il contrastato incontro con il cardiochirurgo pakistano Hasnat Khan. Che avrebbe già commentato negativamente il film lamentandone la natura di gossip. Nel '95 Diana è già in crisi matrimoniale con Carlo ma non ancora divorziata. E' sofferente, triste, sola. La sua vita resta complicata ma lo stato d'animo cambia con l'inaspettata relazione amorosa che la lega al medico. Sappiamo del suo slancio e del suo impegno umanitario. La vita dell'uomo, che la ama, ne è sconvolta. La frequentazione di Dodi Al-Fayed sarebbe stato solo un diversivo, pilotato da Diana, per proteggere Hasnat. Sembra l'apoteosi del luogo comune ma è pur vero, e questo il film e la sua interprete Naomi Watts lo esprimono bene, che la posizione più privilegiata del mondo può coincidere con un baratro di infelicità." (Paolo D'Agostini, 'La Repubblica', 3 ottobre 2013)
"In 113 minutiviene la voglia diabbandonare per sempre storia e leggende di Lady D. II 'Diana' del tedesco Hirschbiegel, infatti, non fa che portare ai minimi termini una già improponibile biografia romanzata, sbracandosi in un pot-pourri di macchiette, pettegolezzi sceneggiati, semplicismi psicologici da giornaletto scandalistico e dialoghi involontariamente comici che farebbe fatica ad essere trasmesso persino dall'ultima delle tv private. Non si contesta il fatto che gli ultimi anni di vita della principessa siano rivissuti nell'ottica del romanzo rosa, bensì il procedimento narrativo cosiddetto «del cameriere»: per ognuno dei quali, com'è noto, nessun grand'uomo è tale frequentato nell'intimità. La Watts è una brava attrice, ma in quello che è stato definito con sinistra ironia «uno schianto stradale cinematografico» non riesce a centrare né la minima somiglianza, né un'adesione interiore che vada al di là della pantomima abborracciata." (Valerio Caprara, 'Il Mattino', 3 ottobre 2013)
"Sono gli ultimi due anni di vita quelli riepilogati in 'Diana', che si concentra sul travagliato rapporto sentimentale con il cardiochirurgo di origine pakistana Hasnat Khan. Vicenda già raccontata nel libro 'Diana: l'ultimo amore segreto della principessa triste' di Kate Snell, anche consulente del film condotto dal tedesco Oliver Hirschbiegel su un blando registro di soap-opera. Incorniciato dalla tragica notte del 31 agosto '97 in cui Diana trovò la morte, il flashback prende via nel '95, dopo il divorzio da Carlo e a ridosso della controversa intervista alla BBC di cui il film ricostruisce alcuni momenti, con Naomi Watts che piega la testa nel modo caratteristico che era della principessa. Quell'intervista sarebbe stata un buon punto di partenza. Perché la principessa si confessò in tv con tanta sconcertante franchezza? Per vendicarsi della famiglia reale, per protagonismo, ingenuità, malizia, stupidaggine, fragilità? Sono interrogativi che, ben sviluppati, avrebbero creato un ritratto più contraddittorio e vivo di quello disegnato nel debole copione di Stephen Jeffreys. (...) Della principessa emergono (...) alcuni tratti più interessanti, autonomi e ambigui, come la sua abilità a manipolare i media o un innato istinto di prevaricazione. Ma restano degli «a parte» che Jeffreys non riesce a imbastire in maniera dialettica nel quadro complessivo. Gli attori sarebbero anche bravi, non fosse che sono penalizzati dalla banalità delle battute e dal carattere monocorde dei personaggi. Se vogliamo, nella guerra segreta fra sua maestà la regina e la nuora, Elisabetta ha vinto due volte: nella vita pubblica (è più che mai amata) e sullo schermo, dove l'eccellente trio Frears regista/Mirren interprete/Morgan sceneggiatore ha provveduto a immortalarla con ben altro estro." (Alessandra Levantesi Kezich, 'La Stampa', 3 ottobre 2013)
"La critica inglese ('The Guardian' in testa) lo ha stroncato, e la cosa poteva essere prevedibile visto che a narrare l'amatissima principessa, forse nessuna così adorata come lei, è un regista tedesco (nientemeno), Oliver Hirschbiegel, e neppure la protagonista, seppure magnifica attrice lynchana come Naomi Watts, è inglese. Ma stavolta la gelosia nazionale non c'entra. Diana, qui col sottotitolo di «La storia segreta di Lady D.» tanto per attizzare ancora di più il risvolto gossip, è proprio un brutto film, e nulla ci dice di Diana Spencer, moglie di Carlo d'Inghilterra e madre dell'erede al trono William, che i suoi occhi blu l'eleganza fashion con cui minava il protocollo reale, hanno reso un'icona di stile in tutto il mondo. Hirschbiegel non utilizza nemmeno la «licenza» romanzesca per interpretare il personaggio, i suoi conflitti e la sua seduzione, ma confeziona il film assecondando le peggiori abitudini vigenti della celebrity culture, che tende a sminuire se non a infangare i propri soggetti. E questo anche se 'Diana' non è una biopic, ma si concentra sugli ultimi due anni di vita della principessa, dal divorzio con Carlo a quel 31 agosto del '97, quando inseguita dai paparazzi la mercedes con Diana e Dodi al Fayed, si schianta a Parigi, nella galleria del Pont de l'Alma. (...) Dodi al-Fayed (...) nel film diviene l'uomo dello schermo, usato da Diana per ingelosire l'impossibile Hasnat. Diciamo che è la sola interpretazione azzardata da Hirschbiegel per i suoi personaggi nella sceneggiatura affidata a Stephen Jeffreys. Per il resto, a vedere il suo film, non capiamo il motivo di tanto accanimento mediatico intorno a una figura che appare piatta, senza fascino, mistero, conflitto, lati oscuri se non quelli dei suoi capricci e di una sofferenza lasciata a qualche monologo davanti allo specchio. I cui gesti, compresa la filantropia che la fa viaggiare intorno al mondo impegnandosi in campagne scomode per la corte tipo quella contro le mine antiuomo, nascono dal desiderio di conquistare Hasnat. E così l'amore, e la sua perdita, che trasforma Diana in una specie di Adele H, seguono un protocollo banale, privo di passione e di invenzioni. Hirschbiegel copia&incolla le sue informazioni, tipo voce di wikipedia, ma è evidente che non è interessato affatto alla sua protagonista, e al mondo che le ruota intorno. Di inventare il suo personale mistero non ha voglia, o non è capace, e così lo banalizza con un certo accanimento. Perché in tanti artisti, intellettuali, gente famosa e non vennero conquistati da Diana Spencer è davvero un'altra storia." (Cristina Piccino, 'Il Manifesto', 3 ottobre 2013)
"Fragile, insicura, piena di carenze affettive, ma dal cuore grande. Soprattutto quando le batte per l'uomo che ama, finalmente ricambiata. Tanto che la vediamo intenta ai fornelli, preoccupata di non essere all'altezza della cena romantica che sta preparando. Oppure fare levatacce notturne per correre in ospedale dal suo lui che ha appena salvato la vita a qualche paziente. Più che una principessa sembra quasi una Cenerentola questa Lady D. dal volto di Naomi Watts portata al cinema, con grande clamore, da Oliver Hirschbiegel, regista tedesco nato dalla tv e «specializzato» in ritratti: suo è anche quello di Hitler ('La caduta') immortalato nei suoi ultimi giorni nel bunker berlinese. Per questo i produttori hanno puntato su di lui, pensando ad un'operazione commerciale da gran cassa mediatica. Se documentari e tv hanno «spolpato» un po' tutti gli aspetti della vita della «principessa triste», per portarla al cinema ci voleva giusto una bella storia d'amore. Ecco dunque 'La storia segreta di Lady D', come recita il titolo, in cui si racconta l'amore, per niente segreto, tra Diana e il cardiochirurgo pachistano Hasnat Khan (Naveen Andrews). Vicenda che in Gran Bretagna ha riempito a lungo le cronache e che riempie il film con i toni più consumati e vacui del melò." (Gabriella Gallozzi, 'L'Unità', 3 ottobre 2013)
"Delude 'Diana' di Oliver Hirschbiegel che trasforma la vita della principessa in una superficiale soap." (Alessandra De Luca, 'Avvenire', 3 ottobre 2013)
"Piacerà a chi ha pasteggiato (e magari continua a pasteggiare) con le vicende sentimentali e non della ragazza Spencer che sognò di diventare regina ed ebbe un brusco, anzi molti bruschi risvegli. Il film (fatto con parecchi soldi) tiene certamente conto che nei suoi anni d'oro Diana fu una regina del glamour internazionale, amata, copiatissima per le sue toilettes di raffinata semplicità. Naomi Watts (non somigliante a Diana più di qualunque altra bionda elegante) è più impegnata a cambiare abito che a dare un qualche spessore alla sua recitazione. Insomma non ci dà un ritratto memorabile (Jessica Chastain la prima scelta del regista, sarebbe stata più in parte). Ma se la Diana di Naomi è di maniera (decisamente poco interessante) la colpa non è solo della Watts, ma di tutti o quasi gli altri coinvolti (del gruppo salverei solo Naveen Andrews, che fa un Hasnat simpatico e plausibile). Gli altri poi sarebbero Oliver Hirschbiegel (regista) Stephen Jeffreys (sceneggiatore) Kate Snell. Tutti al di sotto delle aspettative (cioè un biopic significativo e coinvolgente). Dalle loro mani quella che doveva essere la Diane story definitiva, vien fuori come uno sceneggiatone TV e nemmeno dei migliori. La TV, se vuole, può allestire fiction dirette e soprattutto scritte da Dio ('Downton Abbey' è il primo titolo che ci viene). Hirschbiegel invece è uno che abita al piano di sotto. Anche se ha conquistato rinomanza internazionale con 'Gli ultimi giorni di Hitler', la sua formazione viene dalla Tv germanica che offre prodotti puliti ma privi di scatto. 'Diana' a tratti (molti, troppi tratti) pare un episodio della famigerata serie 'Rosaniund Pilcher'. La favolosa lady D cambia parere e uomo come quelle sciocche eroine della Cornovaglia. Magari Diana era proprio così. Ma non si doveva dire (cioè filmare)." (Giorgio Carbone, 'Libero', 3 ottobre 2013)
"Elegante e fatuo fumetto biografico inglese, che ripercorre gli ultimi due anni della principessa Diana, un girotondo sentimental-turistico, che sfiora il kitsch senza dare palpiti. Chi non frequenta il gossip patinato scoprirà forse con sorpresa che il grande amore di Lady D (una plausibile Naomi Watts) non è stato Dodi Al Fayed, bensì il cardiochirurgo pakistano Hasnat Khan (Naveen Andrews). Cane in ogni senso, non per niente era nel cast del micidiale 'Lost'." (Massimo Bertarelli, 'Il Giornale', 3 ottobre 2013)