Un ragazzo taciturno arriva nella zona isolata e selvaggia del Delta, un labirinto di canali navigabili e isolotti, dove una vegetazione lussureggiante nasconde la popolazione locale tenendola tagliata fuori dal resto del mondo. Il ragazzo, che aveva lasciato la zona nell'infanzia, vi ritrova una sorella di cui ignorava l'esistenza. Nonostante sia esile e timida lei non esita affatto a raggiungerlo nel capanno malandato in cui lui vive. Isolati da tutti, si impegnano insieme con slancio a costruire una casa su palafitte in mezzo al fiume. Un giorno, infine, invitano per un pranzo la gente del luogo che rifiuta perché non accettano il loro rapporto
'contro-natura'.
SCHEDA FILM
Regia: Kornél Mundruczó
Attori: Félix Lajkó - Mihail, Orsolya Tóth - Fauna, Lili Monori - Madre, Sándor Gáspár - Amante della madre
Sceneggiatura: Yvette Bíró, Kornél Mundruczó
Fotografia: Mátyás Erdély
Musiche: Félix Lajkó
Montaggio: Jancsó Dávid
Scenografia: Márton Ágh
Costumi: János Breckl
Durata: 92
Colore: C
Genere: DRAMMATICO
Specifiche tecniche: 35 MM
Produzione: PROTON CINEMA, ESSENTIAL FILMPRODUKTION, FILMPARTNERS
NOTE
- IN CONCORSO AL 61. FESTIVAL DI CANNES (2008).
CRITICA
"Mundruczò usa pochissimo le parole e spesso 'costringe' lo spettatore a guardare da lontano, come per farlo sentire una specie di guardone. Sia che si tratti di ammirare la natura, sia che diventi testimoni della violenza bestiale che gli uomini si sentono in dovere di esercitare su chi non la pensa come loro."(Paolo Mereghetti, 'Il Corriere della Sera', 21 maggio 2008)
"'Delta' crede più alle immagini che alle parole: dialoghi radi, corpi, sguardi, fotografia degna della grande tradizione del cinema ungherese. Rappresentazione pudica, ma con tratti di crudi realismo: una scena di stupro ripresa in campo lungo, quasi indistinguibile, è seguita dal dettaglio dello sperma sulle gambe della ragazza. Mentre una natura edenica osserva, indifferente, la pazzia degli uomini." (Roberto Nepoti, 'la Repubblica', 21 maggio 2008)
"'Delta' dell'ungherese Kornél Mundruczò, racconta un luogo dimenticato, una passione proibita, una violenza ineluttabile. (...) Il paesaggio è sublime, la narrazione affidata più ai silenzi e alle immagini che alle parole, i volti chiamati a rappresentare questo amore così trasgressivo e che quindi andrà violentemente represso sono quelli giovani e ascetici di Felix Laiko e Orsi Tòth." (Stelio Solinas, 'Il Giornale', 21 maggio 2008)
"La grande speranza del cinema ungherese prenota un posto nel Palmarès. Sperduti sul Delta del Danubio fratello e sorella intessono una convivenza ambigua, poi la bestiale invidia dei giovinastri locali fa precipitare l'idillio in tragedia. Niente dialogo, riprese rarefatte, estremo distacco e/o spietata crudezza: tutto già visto nel Polanski degli inizi." (Valerio Caprara, 'Il Mattino', 22 maggio 2008)
"Altra interessante sorpresa è 'Delta', film a produzione ungherese. Altra pasta, background culturale e finalità rispetto a James Gray, ce le ha il trentaduenne regista Kornel Mundruczo. Degno erede più che del Bela Tarr omaggiato nella seconda sequenza del film, dei più ermetici viaggi esistenziali alla Angelopulos o alla Antonioni anni '70. Il labirintico delta di un fiume dell'est europeo è lo scenario naturale che vede il ritorno a casa di un ragazzo. Ad aspettarlo familiari inebetiti e una sorella mai conosciuta che scappa con lui a costruire una casa sul fiume. Tra i due nascerà una pudica e silenziosa attrazione erotica che gli zotici abitanti del luogo sanzioneranno con tragica violenza. 'Delta' è un film prezioso, costruito su silenzi magmatici, sciolto tra acque e melma di una palude estrema protagonista che ne inghiottirà i suoi fortuiti abitanti." (Davide Turrini, 'Liberazione', 21 maggio 2008)
"Si agitano le forme estetiche, ma sono timidi e introversi solo in apparenza i due 'amanti crocifissi' protagonisti della storia. Infatti sono loro, durissimi dentro, coraggiosi, che riescono a sabotare la marcia ritmata di un melodramma tradizionale, a cancellare ogni pittoresco suggerito e a dirigere, con tempi lenti e a levare, un'orchestrazione densa dei segni, come fossimo nelle immagini di Bela Tarr solo un po' più piacevoli, o dentro una tonalità alla Miklos Jancso." (Roberto Silvestri, 'Il Manifesto', 21 maggio 2008)