Karol, un uomo di 21 anni, sta chiuso da solo nell'armadio di una camera in affitto. Si ricorda i tempi della sua infanzia. Per sua madre, depressa dopo la morte del marito, Karol diventa oggetto di un amore potente, aggressivo ed insano. Anna isola Karol dal mondo esteriore. Quando il bambino diventa uomo, Anna vive una crisi psichica. Abbandona suo figlio lasciandolo impaurito e disorientato, poi si sposa. Anna e il suo nuovo marito decidono di metterlo in un centro di cura speciale. Lì, Karol incontra un professore, il signor Kowalski, che scopre la sua sensibilità e l'aiuta a capire il mondo, a credere in se stesso. Finita l'educazione, Karol incomincia la vita nella grande città. Si trova un appartamento ed il lavoro nella cucina di un albergo. Il suo datore di lavoro è un uomo cattivo e maltratta Karol. Il ragazzo raccoglie tutta la sua energia e si vendica crudelmente. Ma la vendetta non lo calma. Karol vive un esaurimento nervoso, abbandona la vita attiva. Rimane tutto il tempo nell'armadio. Vuole ritornare dalla madre, ai tempi di quando era bambino.
SCHEDA FILM
Regia: Mariusz Grzegorzek
Attori: Bozena Adamek - Ann (La Madre, Adam Ferency - Il Boss, Leon Niemczyk - Ispettore, Rafal Olbrychski - Charles, Stanislawa Celinska - La Postina, Marek Walczewski - Kowalski
Sceneggiatura: Mariusz Grzegorzek
Fotografia: Jolanta Dylewska
Musiche: Donald Crumb
Montaggio: Dorota Wardeszkiewicz
Scenografia: Mariusz Front
Durata: 95
Colore: C
Genere: DRAMMATICO
Tratto da: DAL RACCONTO "CONVERSATION WITH A CUPBOARD MAN" DI IAN MCEWAN
Produzione: STUDIO FILMOWE INDEKS
Distribuzione: STUDIO DI FILM INDEKS
CRITICA
Il giovane polacco Mariusz Grzegorzek è un esordiente per il pubblico italiano, ma ha già realizzato alcune opere che hanno circolato in alcuni festival europei. Dopo studi universitari di storia dell'arte a Cracovia, ha seguito corsi di regia e diretto i non meglio identificati Krakatau (1987), The worm (1988), Jesus is cold (1989) ed un cortometraggio, Goliathus Goliathus (1990), commissionatogli dalla televisione tedesca. L'esordio veneziano rivela una sicura personalità nella capacità di strutturare tempi e spazi di un crudele "Kammerspiel" familiare, con una dimensione metaforica kafkiana. Il film illustra un racconto dello scozzese Ian McEwan, già ispiratore di John Schlesinger (The Innocent, di prossima uscita), Andrew Birkin (Il giardino di cemento), Paul Schrader (Cortesie per gli ospiti), oltre che sceneggiatore in proprio. Conversazione con l'uomo dell'armadio mette in scena la terribile difficoltà di comunicare e di amarsi di una madre e di un figlio, la conseguente progressiva caduta nella malattia mentale di questi. Il figlio è segnato dal dolore e dalla sofferenza sin dalla nascita, poichè la madre lo partorisce nell'obitorio ove ha visitato il cadavere del padre morto improvvisamente. Il primo vagito del bambino si mescola significativamente all'urlo di dolore della madre per la perdita dell'uomo amato. L'ala della morte accompagna tutta l'infanzia e l'adolescenza di Carolco (Charles): la madre si chiude in un isolamento assoluto in un poverissimo appartamento, sopravvivendo solo con un sussidio statale e costringendo il bambino ad uno stato di simbiosi morbosa con lei. Gli impedisce in pratica di crescere e costruire la propria autonomia, isolandolo da qualsiasi contatto con il mondo esterno ed imponendogli assurde regole di comportamento che ne annichiliscono creatività, intelligenza e desiderio di vivere. Terribile, ad esempio, uno schiaffo che Anna, la madre, scatena sul volto atterrito di Carolco, colpevole solo di voler mangiare a suo modo un dolce. La voglia di vivere si inaridisce nel bambino, sempre più dipendente dalla madre, sino a ridurlo in uno stato catatonico. E quando Anna, superando improvvisamente il suo stato depressivo, si ricostruisce una nuova esistenza con un altro uomo, sarà troppo tardi per recuperare il tempo perduto da Carlo. La madre lo abbandona in un istituto specializzato per il recupero dei disabili, ove, malgrado l'affettuosa dedizione di un anziano insegnante, acquisisce solo poche conoscenze di base ed un'insufficiente autonomia per inserirsi nel mondo esterno. Abbandonato del tutto a se stesso, riesce a trovare un umile posto di sguattero nella cucina di una mensa, ove viene sottoposto a ripetute angherie e soprusi da parte del volgare e violento responsabile del servizio, che arriva quasi a bruciarlo vivo nel forno. Carlo si vendica gettando addosso al suo aguzzino una pentola di olio bollente e si rinchiude nell'armadio della triste stanza sotto i tetti in cui vive, rinunciando, forse per sempre, ad un'esistenza attiva. Il racconto, già di per sè ricco di suggestioni e di interrogativi sul morboso e distruttivo rapporto fra madre e figlio, immerso in una luce smorta e grigia che annulla la varietà dei colori, è contrappuntato dalle immagini in bianco e nero. Egli visualizza le sue angosce nel vagare della madre cieca in una sorta di regno dei morti, accompagnata dalla morte, in un giardino invaso dall'acqua e abitato da resti slabbrati di busti di statue. Il film presenta una solida e coerente organizzazione dello spazio, in cui il rapporto fra corpi ed ambienti si manifesta in una dimensione simbolica, claustrofobica e concentrazionaria. In questo spazio si consuma il dramma di un rapporto d'amore malato che si trasforma nell'annullamento dell'altro (ma questi è il figlio!) per la propria sopravvivenza. Una lettura psicoanalitica del rapporto familiare è immediatamente percepibile nella vicenda proposta dal film. Del resto questa lettura è confermata dalle dichiarazioni d'intenti del regista: "Questo film mostra quanto ci facciamo male e come, sebbene feriti, continuiamo ad amarci ed a sentire la mancanza l'uno dell'altro. Questo amore doloroso e questo struggimento significano qualcosa nelle nostre vite. Questa è la fonte della nostra speranza." Meno motivata, anche se se ne avverono in modo latente le intenzioni, la dimensione politica del film. Il chiuso paesaggio in cui si muove la tragedia potrebbe essere ovviamente la Polonia in cui è avvenuto il confuso passaggio dal comunismo ad una nuova organizzazione sociale ancora incerta e che per ora ha abbandonato i suoi cittadini a marcire negli armadi della solitudine e dell'abbandono. Ma forse questo livello di lettura non trova sufficiente riscontro in una vicenda che esaurisce la sua forza comunicativa nella descrizione crudele del rapporto vampiresco tra madre e figlio. (Rivista del Cinematografo, Flavio Vergerio, Novembre 1993)