Storie di amicizia, vita quotidiana e amore di un giovane professore di successo dell'Università di Bologna che, a causa di una difficile indagine, si butta tutto alle spalle andando a vivere in una remota località sulle rive del fiume Po. Il passaggio dalla vecchia alla nuova vita del protagonista viene sancita simbolicamente da una scena in cui il professore inchioda al pavimento di un'aula della facoltà in cui insegna, cento incunaboli custoditi nella biblioteca dell'università, avendo maturato la consapevolezza che i libri hanno mancato al loro compito di favorire l'incontro e la conoscenza tra gli uomini e hanno, invece, creato barriere e incomprensioni. Dopo essere vissuto nutrendosi di cultura, deluso, sostiene che prendere un caffé con un amico è preferibile alla lettura di tanti libri.
SCHEDA FILM
Regia: Ermanno Olmi
Attori: Raz Degan - Il professore, Luna Bendandi, Amina Syed, Michele Zattara, Damiano Scaini, Franco Andreani
Soggetto: Ermanno Olmi
Sceneggiatura: Ermanno Olmi
Fotografia: Fabio Olmi
Musiche: Fabio Vacchi
Montaggio: Paolo Cottignola
Scenografia: Giuseppe Pirrotta
Costumi: Maurizio Millenotti
Durata: 92
Colore: C
Genere: ALLEGORICO COMMEDIA
Specifiche tecniche: 35 MM
Produzione: LUIGI MUSINI E ROBERTO CICUTTO PER CINEMA11 E RAI CINEMA
Distribuzione: MIKADO (2007)
Data uscita: 2007-03-30
TRAILER
NOTE
- GIRATO A BOLOGNA, LUNGO GLI ARGINI DEL PO E NELLA PROVINCIA DI MANTOVA.
- FILM REALIZZATO CON IL CONTRIBUTO DEL MINISTERO PER I BENI E LE ATTIVITÀ CULTURALI DIPARTIMENTO DELLO SPETTACOLO DIREZIONE GENERALE CINEMA.
- VOCI: ADRIANO GIANNINI (PROFESSORINO), OMERO ANTONUTTI (MONSIGNORE), DARIO PENNE (PRESIDE), GIUSEPPE GANDINI (POSTINO).
- CANDIDATO AI NASTRI D'ARGENTO 2007 PER: MIGLIOR SOGGETTO, FOTOGRAFIA E MONTAGGIO.
- "LES HOMMAGES DU 60E ANNIVERSAIRE" FESTIVAL DI CANNES (2007).
- DAVID DI DONATELLO 2007: PREMIO FILM COMMISSION TORINO PIEMONTE O PREMIO DEI CRITICI.
CRITICA
- Dalle note di regia: "Il titolo nasce da una mia ossessione, che ogni tanto ho, e che è quella di inchiodare qualcuno per impedirgli di fare del male. Non è casuale la scelta dell'ambientazione della storia, perché il Po, come tutti i fiumi, ha una connotazione che lo distingue dal mare che è l'argine. Quando lo varchi ti lasci alle spalle il mondo, e inchiodare qualcosa che è contrario alla tua idea di vita vuol dire anche varcare l'argine. -
L'ho già dichiarato da tempo: prima ancora di iniziare le riprese sapevo che questo sarebbe stato il mio ultimo film narrativo di messa in scena. Continuerò a fare documentari come quando ho cominciato, più di cinquant'anni fa. Chiedo la cortesia di accogliere questa mia decisione come una scelta presa in serenità, senza motivazioni roboanti né ancor meno con doloroso distacco. Assolutamente non patetico. È per me, oggi, un atto naturale: la conseguenza di una mia trasformazione guadagnata con gli anni vissuti e che ora mi orienta verso altri scopi del vivere, in questo mio prezioso tempo che è l'età 'avanzata'. Ho passato una vita a raccontare storie con il cinema. Ho fatto agire e parlare cose e personaggi secondo la mia immaginazione e la mia volontà. Sempre cercando di essere leale con i miei interlocutori. Un patto che non ho mai tradito, sia quando un film mi veniva bene, sia quando il risultato non era al meglio."
"Ermanno Olmi, il Poeta Solitario del cinema italiano, ci ha lasciato sempre intuire, in tutti i suoi film, il suo personalissimo anelito alla spiritualità. Sia, esplicitamente, rifacendosi ai Vangeli come in 'Cammina, cammina...' o parafrasandoli come nella 'Circostanza', sia, implicitamente, anche solo citando le guerre, l'odio, il perdono, la pace: come nel 'Mestiere delle armi' e, di recente, in 'Cantando dietro i paraventi'. Oggi, arrivato al culmine di un itinerario narrativo che intende qui concludere per tornare al documentarismo delle sue origini, con un rigore ascetico e, nello stesso tempo, con una semplicità di accenti che ne fanno, pur in piena autonomia, il vero continuatore di Bresson, torna, ma con maturati e più sofferti propositi, alle parafrasi della 'Circostanza'. (...) Poesia pura. Con una natura e della gente attorno, dal vero, che sembra ricordarci 'L'albero degli zoccoli', con quel personaggio al centro che ispira solo quiete e serenità, nonostante il gesto che inizialmente gli abbiamo visto compiere, con ritmi distesi in cui però la cronaca sa farsi canto, mentre le immagini sempre limpidamente realistiche di Fabio Olmi vestono di magie misteriose quel quotidiano che sa diventare, ad ogni svolta, magia. Con la grandezza abbacinata dell'arte. Il protagonista, capelli e barba alla nazzarena, è Raz Degan, tanto interiore quanto dimessi e volutamente immediati sono i non professionisti che l'attorniano." (Gian Luigi Rondi, 'Il Tempo', 29 marzo 2007)
"'Centochiodi' è comunque un film d'addio, condensa il pensiero del regista, le cose da lui sempre amate. Il cinema autentico nell'inizio da thriller perfetto (...) Forse non è sbagliato identificare con Gesù il giovane professore che lascia tutto per vivere in povertà sul fiume, che viene creduto Cristo e racconta le parabole evangeliche, che viene arrestato, interrogato: ma anche senza una simile sovrapposizione il personaggio rimane amabile, venerabile, e la gente semplice che abita sulle sponde del Po lo aiuta a metter su casa, lo ammira, mentre la ragazza gli posa la testa sul petto. In ogni caso, 'Centochiodi' è pervaso da un sentimento che lo rende molto, molto commovente; commuovono persino l'acqua gonfia del fiume, la faccia bella di Raz Degan protagonista. E, visivamente, 'Centochiodi' è stupendo." (Lietta Tornabuoni, 'La Stampa', 30 marzo 2007)
"L'ultimo film di Ermanno Olmi (il regista de 'Il mestiere delle Armi' ha dichiarato che non girerà più film di finzione, ma solo documentari) è di struggente attualità e di ampio respiro. Dice, con l'aura apodittica che solo taluni film 'testamentari' possono avere, che il Verbo quando scritto, e quindi in possesso del potere degli uomini, non ha valore. (...) Una lancia conficcata nel costato della Chiesa, vibrata da un uomo di fede, di spirito, sempre teso a interrogare la sua anima e quella del mondo nell'arco di una filmografia proba e specchiata. E l'urlo di dolore di Olmi non può rimanere inascoltato, soprattutto in un momento storico come quello che stiamo vivendo. (...) L'azione iconoclasta di Olmi è politicamente, culturalmente, eticamente di grande rilievo perché cade sulle teste degli italiani proprio in un momento in cui grave è il 'dettato' della Chiesa nella vita politica e civile del paese. (...) Sappiamo che il film di Olmi non c'entra nulla con l'oggi specifico e che la sua riflessione è secolare e storica. Ma forte è l'impatto che se ne ricava leggendolo alla luce del nostro quotidiano." (Dario Zonta, 'L'Unità, 30 marzo 2007)
"La strage dei libri (meno male!) non vuole essere un'ipotesi reale, ma lo spunto di una parabola. Come il Professorino, Ermanno si confessa 'del tutto responsabile ma non colpevole'; e concede a lui e a se stesso, il flashback, un momento di esitazione nel piantare l'ultimo chiodo sull'ultimo libro. C'è dunque in tanta cultura traditora qualcosa che va salvato? Olmi si conferma lo spregiudicato teologo ruspante che esaltando i pastori condannò i Re Magi nel sottovalutato 'Camminacammina', un uomo di fede più scomodo di un miscredente. Attiene ai segreti della poesia il suo dono di fondere neorealismo e cinema dell'anima in un connubio tanto contagioso che dopo questa ispirata e ispirante rigenerazione rusticana balena per un attimo la tentazione di buttar fuori dalla porta tutti i libri che ci ingombrano la casa." (Tullio Kezich, 'Corriere della Sera', 30 marzo 2007)
"'Centochiodi', l'ultimo film di Ermanno Olmi, è un film che possiamo definire contro la chiesa di Ratzinger, un'opera culturalmente 'fuori linea'. Oggettivamente fuori linea. Sappiamo bene che il regista non aveva questa intenzione, sappiamo bene che il messaggio è più complesso, che non c'è alcuna ribellione, alcun intento direttamente politico, che quel film è innanzitutto un'opera artistica. Ma rimane il fatto che l'ultimo film dell'anziano regista è il primo grande evento, la prima opposizione artistica e di impatto mediatico alla Chiesa della dottrina militante, che fa prevalere la dottrina sulla fede, che non guarda le donne e gli uomini e la loro vita, ma preferisce definire i valori." (Ritanna Armeni, 'Liberazione', 30 marzo 2007)
"Ermanno Olmi ha annunciato che 'Centochiodi' sarà la sua ultima opera narrativa: poi, tornerà ai documentari con cui iniziò l'attività registica. Ci auguriamo che non vada così; e tuttavia questo ha tutti i caratteri di un film testamento: per il soggetto che propone, per la lucidità con cui lo affronta, per lo stile eccezionalmente maturo che coniuga una spiritualità e una concretezza d'immagine rare a trovarsi al cinema. Olmi ha il coraggio di mettere in scena un nuovo apologo su Gesù Cristo con un impeto polemico che evoca Dostoevskij, una nitidezza d'immagini che fa pensare a Bresson, una leggerezza danzante vicina a Fellini. Dietro le immagini serene della vita di paese, o lo sguardo limpido di un sorprendete Raz Degan, trapela un'invettiva senza acrimonia ma determinata, dura e pura, contro coloro che manipolano il senso della vita, della fede, dei libri. Tutt'altro che predicatorio, il misticismo del regista lombardo ha questo d'impagabile: saperci raccontare di un Cristo quotidiano, che potremmo incontrare in un giorno e in un luogo qualsiasi, con la più assoluta naturalezza, rendendocelo familiare e facendo di noi amici tra i suoi amici. Olmi ci lascia con un compito enorme di enorme responsabilità: scegliere l'amore anziché l'odio, la pace al posto della guerra dipende unicamente da noi." (Roberto Nepoti, 'la Repubblica', 30 marzo 2007)
"Ermanno Olmi dice addio al cinema-cinema con una parabola evangelica ambientata nel nostro presente rapace e consumista. Un film che ci riporta al narratore corale e fanciullesco di 'Camminacammina', innamorato degli umili e capace di improvvise accensioni comiche. (...) Ma 'Centochiodi' è anche una fiaba a cui ci piacerebbe credere fino in fondo, perché non sempre l'urgenza del messaggio si sposa al racconto, anzi a tratti pare quasi che personaggi, dialoghi, ambienti, veicolino un discorso vigoroso e condivisibilissimo ma largamente preesistente al film. Succede quando un cineasta ha troppe cose da dire ancor prima che da mostrare e magari forza un po' la mano al racconto. Anche se naturalmente è importante dirle proprio in questo momento e ancora più importante è che a farlo sia il cattolico Olmi, cattolico ma libero, con tutta la foga e la convinzione, lo sdegno e il residuo buonumore di cui è capace. Cosa dice dunque Olmi per bocca del suo seducente (fin troppo seducente) professore in rivolta? Dice che 'la sapienza del mondo è una truffa, Dio non parla coi libri, i libri servono qualsiasi padrone e qualsiasi Dio'. Dice che 'nessun libro vale un caffè con un amico', che 'le religioni non hanno mai salvato il mondo' e i libri 'servono solo a ingannarci a vicenda'. Ma suggerisce anche tante altre cose semplici e insieme miracolose." (Fabio Ferzetti, 'Il Messaggero', 30 marzo 2007)