Il reporter inglese Michael Henderson si trova a Sarajevo per una nuova cronaca di guerra. Siamo nel 1992, all'inizio dell'assedio della città. I giornalisti la sera si ritrovano al bar dell'albergo per raccontarsi, in un clima di paura ma anche di inevitabile rivalità professionale, le reciproche esperienze. Un giorno Henderson e il collega americano Flynn scoprono uno dei campi di concentramento organizzati dai serbo-bosniaci. Poi è la volta delle stragi di civili in coda per la distribuzione del pane. Durante la visita ad un orfanotrofio sotto il fuoco nemico Henderson sente il bisogno di fare qualcosa di più concreto e promette ad una bambina, Emira, di portarla lontano dalla guerra. Quando un convoglio di aiuti umanitari guidato dall'americana Nina si offre di mettere in salvo alcuni bambini, Henderson decide di portare Emira in Inghilterra. Sembra tutto risolto, quando la mamma pretende di riaverla indietro. Henderson torna a Sarajevo e riesce a convincere la madre. Intanto in città qualcuno riesce ad organizzare un piccolo concerto, sfidando il pericolo, in favore della pace.
SCHEDA FILM
Regia: Michael Winterbottom
Attori: Stephen Dillane - Henderson, Woody Harrelson - Flynn, Marisa Tomei - Nina, Emira Nusevic - Emira, Kerry Fox - Jane Carson, James Nesbitt - Gregg, Igor Dzambazov - Jacket, Gordana Gadzic - Signora Savic, Juliet Aubrey - Helen Henderson, Goran Visnjic - Risto, Emily Ann Lloyd - Annie McGee
Soggetto: Michael Nicholson
Sceneggiatura: Frank Cottrell Boyce
Fotografia: Daf Hobson
Musiche: Adrian Johnston
Montaggio: Trevor Waite
Scenografia: Mark Geraghty
Costumi: Janty Yates
Effetti: First Effects
Durata: 100
Colore: C
Genere: DRAMMATICO
Tratto da: tratto dal libro "Natasha's Story" di Michael Nicholson
Produzione: DRAGON PICTURES PER CHANNEL FOUR FILMS E MIRAMAX FILMS
Distribuzione: MIKADO - DVD: RAROVIDEO (2012)
NOTE
- REVISIONE MINISTERO NOVEMBRE 1997.
- SELEZIONE UFFICIALE FESTIVAL DI CANNES 1997.
CRITICA
"Con Winterbottom si combatte contro l'indifferenza. Dove se mai 'Welcome to Sarajevo' si rivela insufficiente è proprio nell'aspetto emotivo, tanto che deve rivolgersi alla fine al classico 'Adagio' di Albinoni per riannodare le fila sentimentali. Ma ben venga un film che, con un ottimo montaggio, lotta per non dimenticare e per denunciare il cinismo occidentale, sfiorando la poesia e parlando a nome di 300 mila bambini. Una cosa è certa: nessun uomo è moralmente abilitato a reggere l'agonia di un popolo. E i bambini sempre e comunque ci guardano". (Maurizio Porro, 'Il Corriere della Sera', 8 novembre 1997)
"Come ipnotizzato, Winterbottom moltiplica piste, personaggi, punti di vista, senza negarsi niente. Il rock in colonna sonora e la vita che prosegue nella tragedia. La scoperta dei lager serbi e le elezioni di 'Miss Sarajevo assediata'. Le esecuzioni sommarie e le retrovie dei media, con dubbi e dibattiti fra addetti ai lavori. E la fatica dei reporter, i pericoli, gli affetti, il senso di impotenza, le delusioni, l'inutile parata dei capi di Stato, la grottesca classifica Onu per cui Sarajevo 'è solo al 14° posto' nell'hit parade mondiale dell'orrore. Una doccia scozzese che però rischia di far perdere il film su due tavoli: come documento è già superato, come fiction fin troppo elementare. Ma forse questo voleva Winterbottom: raccontare - mimare? - una disfatta che non è solo della Bosnia ma di tutti noi". (Fabio Ferzetti, 'Il Messaggero', 16 novembre 1997)
" 'Benvenuti a Sarajevo' è un film importante. Non solo per le ragioni evidenti, ma anche per il fatto di mettere in luce una contraddizione fondamentale: come capiti cioè che il reale dei documenti visivi mescolato alla finzione della narrazione cinematografica non necessariamente riesca a essere più eloquente della pura invenzione. E lo dico pensando ad almeno altri tre film sulla guerra in Bosnia, due quasi capolavori come 'Lo sguardo di Ulisse' e 'Underground', e un piccolo film che se non parlasse di morte chiameremmo minimalista, 'Il cerchio perfetto'. Tutti, per ragioni diverse, più impressionanti del film di Michael Winterbottom - un regista interessante, ma erratico e mutevole, che con 'Benvenuti a Sarajevo' tenta ancora un'altra strada e un altro modello di cinema dopo 'Il bacio della farfalla', 'Go now', 'Jude'. (...) Alla fine di questo film onesto e squilibrato, generoso e irrisolto, non si può che dar ragione alle sue intenzioni e a Woody Harrelson: le immagini di Sarajevo sono un virus di cui lo spettatore farà fatica a liberarsi". (Irene Bignardi, 'la Repubblica', 9 novembre 1997)