Ci sono posti in Europa che sono sopravvissuti come dolorosi ricordi del passato: le fabbriche in cui gli esseri umani sono stati trasformati in cenere. Questi posti ora sono divenuti luoghi della memoria, aperti al pubblico e visitati da migliaia di turisti ogni anno. Il titolo del film si riferisce al romanzo omonimo scritto da Winfried Sebald e dedicato alla memoria dell'Olocausto. Concentrandosi sui visitatori di questo luogo della memoria fondato sul territorio di un ex campo di concentramento, il film cerca di rispondere a due quesiti. Perché la gente ci viene? Che cosa sta cercando?
SCHEDA FILM
Regia: Sergeï Loznitsa
Soggetto: Sergeï Loznitsa
Fotografia: Sergeï Loznitsa, Jesse Mazuch
Montaggio: Danielius Kokanauskis
Durata: 93
Colore: B/N
Genere: DOCUMENTARIO
Specifiche tecniche: (1:1.85)
Produzione: SERGEI LOZNITSA PER IMPERATIV FILM
Distribuzione: LAB 80 FILM (2017)
Data uscita: 2017-01-25
TRAILER
NOTE
- REALIZZATO CON IL SUPPORTO DI: DIE BEAUFTRAGTE DER BUNDESREGIERUNG FÜR KULTUR UND MEDIEN FILMFÖRDERUNGSANSTALT, GERMAN FEDERAL FILM BOARD, MEDIENBOARD BERLIN-BRANDENBURG.
- FUORI CONCORSO ALLA 73. MOSTRA INTERNAZIONALE D'ARTE CINEMATOGRAFICA DI VENEZIA (2016), HA OTTENUTO IL MOUSE D'ARGENTO.
CRITICA
"(...) la civiltà omologata, il passato rimosso e la questione che non si può narrare l'orrore della Shoah (vedi Lanzmann) torna in questo saggio etico in cui è davvero il film che ci guarda non il contrario. Fauna di varia umanità, ma è un catastrofico avvenuto dove i giovani filmano, sperando forse che l'immagine rimetta in moto il pensiero." (Maurizio Porro, 'Corriere della Sera', 26 gennaio 2017)
"In un rigoroso bianco e nero, con una stratificata colonna sonora che mescola rumori, frammenti di chiacchiere, squilli di telefonini e l'impersonale voce delle guide, il regista riprende l'andirivieni di una folla dall'aria vacanziera e distratta: senza commentare, ma inequivocabilmente mostrando come l'appiattimento, l'indifferenza e l'oblio nell'era del virtuale e del turismo di massa siano riusciti nell'impresa fallita da Hitler, cancellare da quei luoghi famigerati la memoria dell'orrore indicibile che vi ha abitato." (Alessandra Levantesi Kezich, 'La Stampa', 26 gennaio 2017)
"Che senso ha istituire un Museo del Male e delle Responsabilità se i visitatori lo scambiano solo per un museo? Negli individui che formano 'massa e potere', qual è oggi la capacità di distinguere la rappresentazione della Memoria dalla Memoria come rappresentazione? Pare Marzullo, ma sono domande nette della cinepresa dell'ucraino Loznitsa (...). Nel bianco e nero straniante dei documentari d'epoca, il popolo di selfie e pic-nic che siamo diventati sembra innocente. Sembra..." ('Nazione-Carlino-Giorno', 26 gennaio 2017)
"La prima reazione è di disagio davanti a immagini che nella loro normalità finiscono per apparire oltraggiose. Poi quella giornata chiara d'estate, quelle interminabili ondate di turisti in ciabatte, pantaloncini, magliette con le scritte, cappellini, la stessa folla che percorre, un po' distratta e un po' affaticata, qualsiasi museo, qualunque parco archeologico, diventano lo specchio dello stesso spettatore e della realtà della sua lontananza e smemoratezza un complice di ciò che sullo schermo vorrebbe rifiutare. (...) Loznitsa filma per 93 minuti, in un gelido e pur sereno bianco e nero, con una macchina digitale nascosta, questa umanità in vacanza sulle tracce di quell'altra umanità che ormai più di settant'anni fa, negli stessi luoghi e seguendo lo stesso percorso, fu disumanizzata e sterminata. (...) II film inizia nel silenzio, tra i visitatori, i turisti, che aspettano il loro turno per varcare quella soglia inquietante; per tutto il tempo non ci sarà una sola parola di commento, ma a poco a poco i suoni si confonderanno come un sottofondo musicale stridente (...). Per i primi dieci minuti si teme di provare un moto di impazienza perché l'immagine è fissa su una folla sconnessa che vaga e di cui non vediamo cosa vede; poi è proprio questa fissità cieca, è la vacuità apparente dei comportamenti, i visi inespressivi, i suoni indecifrabili, quella specie di marcia su un percorso obbligato che imprigiona i visitatori, come imprigionò i morituri, a crea una forma di partecipazione, di stupore, di dolore come se si fosse lì, turista tra i turisti, a condividere da spettatori un'esperienza unica, forse indimenticabile, forse profonda, forse sconvolgente, forse invece superficiale e deludente. Il film di Loznitsa chiede allo spettatore se abbia senso questo turismo massificato e disordinato della Memoria, se conceda davvero il raccoglimento, l'empatia, forse un senso ignoto di colpa, di un'esperienza così traumatica." (Natalia Aspesi, 'La Repubblica', 16 gennaio 2017)