Parigi. Dopo aver passato una intera giornata in teatro a supervisionare audizioni di attrici per la sua nuova pièce, Thomas si lamenta al telefono dello scarso rendimento delle candidate. Nessuna ha i requisiti necessari per il ruolo della protagonista. Poi, mentre Thomas si prepara ad andare via arriva Vanda, una ragazza impertinente, dotata di un'incredibile e sfrenata energia, che incarna tutto ciò che lui odia di più: è volgare, senza cervello e soprattutto pronta a tutto pur di ottenere la parte. Tuttavia, il regista decide suo malgrado di darle una chance. Scoprirà con stupore la metamorfosi della ragazza: non solo è fornita di oggetti di scena e costumi, ma ha capito profondamente il carattere del personaggio e ne conosce a memoria le battute. Man mano che il provino prosegue, l'intensità tra i due aumenta e l'attrazione che Thomas prova verso Vanda diventa ossessione...
SCHEDA FILM
Regia: Roman Polanski
Attori: Emmanuelle Seigner - Vanda, Mathieu Amalric - Thomas
Soggetto: Leopold von Sacher-Masoch - romanzo, David Ives - pièce teatrale
Sceneggiatura: David Ives, Roman Polanski
Fotografia: Pawel Edelman
Musiche: Alexandre Desplat
Montaggio: Margot Meynier, Hervé de Luze
Scenografia: Jean Rabasse
Arredamento: Philippe Cord'homme
Costumi: Dinah Collin
Altri titoli:
Venus in Fur
Durata: 96
Colore: C
Genere: COMMEDIA NOIR
Specifiche tecniche: (1:2.40)
Tratto da: pièce teatrale omonima di David Ives, tratta dal romanzo omonimo di Leopold von Sacher-Masoch (ed. ES, coll. Classici dell'eros)
Produzione: R.P. PRODUCTIONS, A.S. FILMS, MONOLITH FILMS CON POLISH FILM INSTITUTE, IN ASSOCIAZIONE CON MANON 3 E MARS FILMS, CON LA PARTECIPAZIONE DI CANAL + E CINÉ +
Distribuzione: 01 DISTRIBUTION - DVD E BLU-RAY: 01 DISTRIBUTION HOME VIDEO (2014)
Data uscita: 2013-11-14
TRAILER
NOTE
- IN CONCORSO AL 66. FESTIVAL DI CANNES (2013).
- CANDIDATO AL DAVID DI DONATELLO 2014 COME MIGLIOR FILM DELL'UNIONE EUROPEA.
CRITICA
"Evitando prediche e banalità sulla guerra tra i sessi - quello 'femminista' è solo il lato più esteriore del film - per darci una riflessione vertiginosa e insieme esilarante sul mestiere dell'attore; sui doppi e tripli fondi nascosti in ogni vera interpretazione (a complicare il gioco di specchi, Amalric è quasi un sosia di Polanski giovane); sull'intreccio tra potere e seduzione che sottende ogni lavoro di messinscena (non si tratta solo di donna contro uomo, ma di attrice contro regista). Suprema ironia: contrariamente a quanto avrebbe fatto il 99 per cento dei registi di oggi, per riprendere questo duello che potrebbe anche essere un sogno, dominato regalmente da sua moglie Emmanuelle Seigner, Polanski ha usato una sola macchina da presa, non due o tre per poi scegliere al montaggio. E non è un dettaglio tecnico. E il segno di una supremazia che è il soggetto stesso di questo film irresistibile. Solo se visto in originale, vista la banalizzazione inferta dal doppiaggio italiane." (Fabio Ferzetti, 'Il Messaggero', 21 novembre 2013)
"Dopo 'Death and the Maiden' del cileno Ariel Dorfman e 'Carnage' di Yasmina Reza, un altro hit dal teatro newyorkese per Roman Polanski, che porta sullo schermo il testo del drammaturgo americano David Ives, a sua volta ispirato dal romanzo di Leopold von Sacher-Masoch 'Venere in pelliccia', 'Venus in Fur' (1870). Presentato in concorso a Cannes (...) è un adattamento fedele per un film liberissimo che capovolge la claustrofobicità della premessa - due persone sole in un teatro - moltiplicando i piani della rappresentazione in uno scambio continuo tra scena e proscenio, «attore» e «regista». Comico, erotico, a tratti quasi gioioso, nella sua spumeggiante, affilata, parodia della lotta tra sessi, e dei suoi stereotipi, 'Venere in pelliccia' è un arioso gioco di specchi a rimandi infiniti - un film di segno completamente opposto alla progressione rituale e asfissiante di 'Carnage'. E in cui Polanski sembra molto più «dentro», coinvolto in prima persona - non solo perché è la storia dell'incontro tra un regista e un'attrice, ma anche perché sua moglie (Emmanuelle Seigner) è uno dei due protagonisti e l'altro (Mathieu Almaric) sembra un gemello del regista da giovane. (...) Seigner dà a Vanda un abbandono, una leggerezza e una carnalità che arrotondano i passaggi programmaticamente più «ovvi» della rilettura postmoderna/femminista del testo di Sacher-Masoch. Ma la sua è anche una Vanda più enigmatica, imprevedibile. Almaric, che inizia il film nella parte dell'autore/mattatore/sadico/nevrotico si trasforma progressivamente in un rapito, sottomesso, cucciolo di pelouche. Nella produzione originale del 2010, messa in scena dalla Classic Stage Company, Nina Arianda e Wes Bentley interpretavano la parte dei protagonisti. In questa versione, la voce stessa di Polanski si fa sentire qua e là - come quando Thomas definisce il suo testo «una magnifica storia d'amore» lei ribatte che è porno venato di gusto per la molestia infantile. Ma perché bisogna leggere tutto in chiave politico /sociologica? Si lamenta il regista. Tempestosa in apertura e poi sempre più vicina al coro da tragedia greca previsto dal gran finale, anche la colonna sonora di Alexander Desplat registra la sottile vena di humor che attraversa lo scontro, il suo gusto del gioco. Anche visivamente (la fotografia, in scope, è di Pavel Edelman) 'Venere in pelliccia' sembra un film che Polanski si è molto divertito a fare. Bellissimo." (Giulia D'Agnolo Vallan, 'il manifesto', 21 novembre 2013)
"Dopo i quattro memorabili contendenti di 'Carnage', Polanski fa ancora economia e, sempre ispirato dal teatro che da sempre è sua linfa vitale, li riduce a due, classici contendenti: un uomo e una donna, anzi un regista e un'aspirante attrice. Il mondo esterno non esiste nel film in cui il regista sedimenta e metaforizza il suo da sempre acceso erotismo: siamo nella platea vuota di un teatro, il regista si appresta ad uscire, fuori piove, ma una ragazza, un po' cialtrona e anche stracciona, si fa avanti chiedendo audizione per la parte di Wanda in 'Venere in pelliccia' (zibellino tartaro!). (...) Tratto dalla commedia di David Ives, in scena a Broadway dal 2010, ora edita nei Bur Rizzoli, il film è una bella boccata di aria chiusa, alla Polanski, gioco al massacro che ricorda i suoi sadomasochismi non sospetti ('Cul de sac', 'Luna di fiele') e cita il finale di 'Che?' la scena in cui la donna nuda sta in piedi soverchiando l'uomo. Nulla di volgare, siamo nella zona protetta dal genio registico e dal gusto claustrofobico degli ambienti e dei sentimenti: in 90', il regista confeziona un thriller d'amore e odio in cui le posizioni si ribaltano di continuo. Emmanuelle Seigner brava nella metamorfosi di vecchio rancore, ma la scoperta è Mathieu Amalric che si trasforma in un Polanski giovane, facendo in modo che il sudoku degli affetti si faccia più inestricabile con una terza presenza invisibile." (Maurizio Porro, 'Corriere della Sera', 14 novembre 2013)
"Roman Polanski, nelle interviste, prende le distanze dal personaggio maschile e si dichiara estraneo alle suggestioni sadomasochiste mettendo molto l'accento sul divertimento che gli ha procurato l'avventura e sul tono ironico che ha cercato nel film. Sta di fatto che l'attore (e regista) Mathieu Amalric, cui è affidato il ruolo del regista teatrale in 'Venere in pelliccia', gli somiglia in maniera evidente. D'altra parte però, sempre intervistato, Polanski riconosce anche che nel rapporto tra regista e interprete c'è, per definizione, una componente sadomasochista: «il mio lavoro mi posiziona più vicino al personaggio del regista, ovviamente». (...) II regista polacco ha adattato la pièce omonima di David Ives che è una rivisitazione del romanzo del 1870 di Leopold von Sacher-Masoch. Dove, facendo largamente eco alla propria autobiografia, l'autore immaginava che un uomo, Severin, stipuli un contratto con una signora, Wanda von Dunajev, nella quale egli vede una dea e che anzi identifica con Venere, dal quale è previsto che la loro relazione diventi quella tra una padrona e il suo servo (con un nuovo nome: Gregor). (...) Come sappiamo le variazioni intorno all'archetipo sono state infinite. Nel cinema: da 'L'angelo azzurro' a 'Viale del tramonto'. Polanski, non nuovo ad avventure claustrofobiche, di teatro trasportato nel cinema, a pochi o pochissimi personaggi (da 'Cul de sac' dove l'uomo viene come qui umiliato e femminilizzato a 'Rosernary's Baby', da 'Luna di fiele' a 'La morte e la fanciulla', fino al più recente e magistrale 'Carnage' da Yasmina Reza) e sempre con risultati sorprendenti e assolutamente all'altezza della sua fama geniale, crea qui uno dei suoi più riusciti incipit. Con un piano sequenza che penetra in un teatro malmesso e deserto, che sarà il luogo unico dell'azione. (...) Non è del tutto convincente l'intonazione non troppo spiritosamente femminista e 'giustiziera' che Polanski ha voluto dare all'epilogo. Incanta la perfezione d'intesa tra i due interpreti, ma per Emmanuelle Seigner il ruolo, magnificamente sostenuto, è stato un vero regalo d'amore. Quello di Polanski è forse il caso più esemplare di paladino della generazione ribelle che, senza perdere nulla dell'originaria vena trasgressiva, occupa oggi il centro della scena come uno dei più grandi cineasti viventi." (Paolo D'Agostini, 'la Repubblica', 14 novembre 2013)
"(...) fra la realtà e il teatro, all'insegna di una ambiguità totale. Polansky è soprattutto su questa ambiguità che ha puntato fino a farne un gioco tra le cui pieghe più l'azione si svolge e più si fa serio se non addirittura doloroso specie quando le umiliazioni accettate con gioia dall'uomo si fanno crudeli e quando gli atteggiamenti duri e spietati della donna tendono a far calare sulla vicenda cupi echi funebri. La conclusione, ballata e in musica, non convince del tutto, ma il film, nel suo complesso riesce spesso a giustificare la firma del suo autore per le immagini plumbee, per il taglio rapido delle scene, pur non raggiungendo l'asprezza e l'arsura che pesavano sui tre personaggi di 'Carnage', l'altra recente fatica di Polanski. I climi decisamente ambigui cui si tende fin dall'inizio trovano anche sostegno nell'interpretazione dei due protagonisti perché Mathieu Amalric come Thomas è truccato in modo da somigliare a Polanski giovane - lo stesso taglio di capelli a caschetto di quando l'ho incontrato nel '62 alla Mostra di Venezia per 'Il coltello nell'acqua' - e chi lo affianca come Vanda è Emmanuelle Seigner, proprio la moglie di Polanski. Pronti entrambi a sfoggiare, nella versione originale francese tutte quelle sfumature psicologiche e anche fonetiche che i loro personaggi esigevano." (Gian Luigi Rondi, 'Il Tempo - Roma', 14 novembre 2013)
"Qualcuno l'ha definito un piccolo film, ma applicando al resto dell'offerta la stessa unità di misura avremmo dovuto smettere d'andare al cinema da un pezzo. In realtà 'Venere in pelliccia' è un «piccolo», ma affilato, denso, ossessivo congegno drammaturgico allestito dalla bravura sempreverde di uno dei massimi talenti della nostra epoca, l'ottantenne Roman Polanski. II film tratto dalla pièce di David Ives a sua volta ispirata all'omonimo e cruciale romanzo di Sacher-Masoch consiste in un'ora e mezza di progressiva, inarrestabile combustione psicologica apparentemente a carico di due soli personaggi, ma in realtà irradiata su un'infinità di situazioni che riguardano noi tutti. I limiti teatrali dello show per Polanski non contano; anzi, è proprio la condizione oggettiva claustrofobica dei duellanti a suggerire alle sapienti traiettorie della cinepresa una serie di incroci, intermittenze, diversioni, illusionismi tesi a tenerli in suo potere sino in fondo. Dunque si può precisare facilmente il carattere di uno dei rarissimi film contemporanei che sarebbe un delitto perdersi: le storiche ossessioni del regista - l'esaltante, perenne guerriglia tra l'uomo e la donna, la verità della finzione più forte di quella della vita, il gioco di specchi tra desiderio e manipolazione, il travestimento destabilizzatore d'identità e lo sberleffo ai riti dell'egotismo artistico (specie d'autore) - concentrate in una sexy dark comedy al diapason." (Valerio Caprara, 'Il Mattino', 14 novembre 2013)
"Si potrebbe parlare e scrivere di Roman Polanski per ore, tanto è essenziale, preciso e millimetrico il suo cinema. Più passa il tempo maggiore è la forza dei suoi dispositivi a orologeria, macchine infinitamente accurate. Questa ingegnosità, l'ingegneria cinematografica di un autore che tende all'essenziale senza mai essere perfetto, riguarda anche e soprattutto gli elementi della messa in scena che fatalmente coincidono con l'essenza stessa dei principi narrativi: unità di luogo e di tempo, stretta dialettica di personaggi. (...) Questa rincorsa all'essenzialità, questo spogliarsi di tutti gli orpelli inutili al fine di mostrare la precisa natura dei rapporti tra le classi sociali e tra i sessi, tutti rapporti di potere, è arrivata con 'Venere in pelliccia' ad una efficacia che si trasforma, del tutto consapevolmente, in parodia, sottilmente sottesa ad ogni gesto, ad ogni parola detta e recitata, ad ogni sguardo lanciato. Non riusciamo a immaginare un passo più in là nella definizione di questo dispositivo, a meno che Polanski non voglia arrivare alla forma monologante, come una confessione definitiva, e fors'anche farsesca, che possa coincidere una volta di più e una volta per tutte con il sé che attraversa ogni sua opera. (...) 'Venere in pelliccia', dunque, è un Polanski allo stato puro, e non interessa se il dispositivo narrativo così sofisticato, cede in qualche punto, mostrando il limite di una messa in scena ardita per quanto semplice. Il film inizia con un «carrello» che avanza nel mezzo di un viale alberato in quel di Parigi mentre il cielo si fa scuro annunciando un temporale già compreso dalla musica di Alexandre Desplat (uno dei maggiori e più importanti autori di musica per film dei nostri giorni) che introduce il tema, l'ambiente e l'atmosfera. Poco dopo questo carrello polanskiano entra in un teatro sguarnito in un giorno dedicato al casting della «venere in pelliccia». Il regista è sul palco piegato al telefono, disperato per lo scarsissimo livello delle pretendenti. Sta per chiudere baracca quando «una di loro», sguaiata, fradicia, tatuata, sboccata irrompe nella scena pregando di poter essere provinata. Inizia il duello, condotto da Polanski con la maestria di chi tira di fioretto: un passo avanti e due indietro, attacchi ed esitazioni, schivate e affondi. Un balletto, una sfida, una meraviglia. La sguaiata pretendente al trono della Venere conquista posizioni e si cala nel ruolo riuscendo, con un'abilità sospetta che tradisce le sue origini macchiettistiche, a rovesciare le parti e, sotto l'egida di un Masoch indispettito dalla modernità, si trasforma da dominata in signora assoluta. Una magia, un incanto, un esercizio di intelligenza e ironia. Protagonista assoluta di questa performance è Emmanuelle Seigner, musa e sposa di Polanski, perfetta e irridente maschera di un masochismo al contrario che si fa beffe dell'uomo e del regista, vittima delle sue stesse idiosincrasie. E come sempre quando si vede un film di Roman Polanski, tutto è normale ma niente lo è. E questa è una sensazione che pochissimi registi al mondo riescono a trasmettere. Questo stare perfettamente in bilico tra il verosimile e l'immaginato, come fosse la traduzione possibile di uno stato mentale. Così quando la Venere sparisce alla fine del film, chiunque ha diritto di credere che non sia mai apparsa in carne e ossa, ma fruizione libera di una mente aperta." (Dario Zonta, 'L'Unità', 14 novembre 2013)
"Al netto delle due fascinose carrellate ad aprire e chiudere, 'Venere in pelliccia' ('La Vénus à la fourrure') è concluso sul palco di un teatro parigino, una sola macchina da presa, due soli attori: l'alter ego - la somiglianza fisica è il surplus di senso - Mathieu Amalric e la moglie di Polanski, Emmanuelle Seigner. Entrambi splendidi, entrambi anima e corpo per farci leggere tra le righe la valenza e il valore della traduzione 'sado-masochista' di Roman: il meta-discorso sull'autorialità, punteggiato da abbondante autoironia; la psicanalisi; l'ontologia stessa dell'arte; le geometrie variabili delle relazioni umane, in primis quelle tra uomo e donna. Temi esistenziali, 'pesanti', ma trattati con una leggerezza, un brio e un gusto unici: esercizio di stile, ma insieme esercizio salutare per chi dietro la macchina da presa e davanti allo schermo ama il cinema. Cinema vitale, nella misura in cui promette esibita teatralità; cinema vitale, perché porta con sé l'autobiografia del regista, con il teatro 'hortus conclusus' per un'altra forzata clausura. Arriva da Cannes, 'Venere in pelliccia', dove avrebbe meritato un premio, e arriva quale secondo capitolo della nuova stagione 'teatrale' di Polanski. Dopo 'Carnage' (2011), dalla pièce di Yasmina Reza, ecco l'adattamento di quella di David Ives, con un sostanziale cambiamento: qui la parola non annebbia e annega più il dialogo, bensì fa emergere l'inconscio, l'oscuro, l'ineffabile. Operazione salvifica, con la felicità per ospite (in)atteso: Polanski sta bene, ce lo dice con un sorriso. Ora, è pronto per tornare a combattere, con un'autobiografia a specchio: ha in cantiere 'D', il 'political thriller' sul famigerato affaire Dreyfus (...)." (Federico Pontiggia, 'Il Fatto Quotidiano', 14 novembre 2013)
"Originale commedia di Roman Polanski, tratta (e si vede) dal teatro. Un malizioso gioco a due, in tempo reale, che dapprima affascina, ma alla lunga provoca diversi sbadigli. Non ne ho trovato una decente, sospira al telefono il regista Thomas. Ma ecco che nel teatro ormai vuoto irrompe la sfrontata bionda Vanda: scommetto che sono io la candidata giusta. Emmanuelle Seigner, in scena in provocante guêpiére, non può nascondere qualche ruga. Né la cellulite." (Massimo Bertarelli, 'Il Giornale', 14 novembre 2013)
"Non pensate che 'Venere in pelliccia' sia un'esercitazione d'autore sul tema del teatro filmato, perché come in 'Carnage' Polanski sfonda qualunque parete, d'appartamento borghese o di quinta, per insinuarsi nel tracciato di un intreccio di volontà. La sua macchina da presa possiede il miracolo di un'eleganza e di una malizia che si allargano ad architettura di un duetto polifonico, all'inizio discordante poi sempre più coinvolgente, impietoso come un patologo che scruta, scandaglia e si diverte a muovere pedine secondo una scelta che penetra nell'intimo e lo stravolge. Thomas si riduce a uno schiavo che soffre ma si libera dei propri fantasmi, come in una recita pervertita dalle catene che Vanda, la vamp e la vampira, gli stringe al collo poco a poco tra strategie di luce e penombra sadica. 'Venere in pelliccia' è probabilmente uno dei film più personali di Polanski, più votato a far crollare maschere, pudori e ipocrisie: il regista che ha patito e trasgredito insegue, anche in vecchiaia, i simboli della propria ispirazione non doma, non piegata e piagata dal tempo e dalla circostanze. Che abbia scelto sua moglie Emmanuelle Seigner e un Mathieu Amalric che lo ricorda da giovane, testimonia che 'Venus' è qualcosa di più della dimostrazione di uno straordinario talento per la messa in scena: alla stupefacente prova di entrambi, Roman Polanski chiede, escludendo ogni realismo, di svelare il lato oscuro della propria condizione psichica e professionale. Tra Vanda e Thomas si dipana un valzer della tortura senza sangue, del tormento senza lacerazioni della pelle (almeno quella esposta allo sguardo altrui), del desiderio e della sua negazione, della libertà e del suo contrario. 'Venere in pelliccia' contiene il mito, il suo mistero e l'arcana essenza della guerra tra sessi che, stavolta, si combatte su un terreno dove il maschio non può che subire ed essere felice della sconfitta. È strano osservarlo per un atto che si consuma al fuoco di un interno e con unicamente una coppia al centro dell'allusivo duello, ma le sequenze di Polanski sono scandite da un'epica vera, dove la sottomissione, il piegare la testa, e l'infierire sull'altro sono assai di più di un cozzo di spade. Tra ironia, crudeltà ed erotismo che, anche loro, cambiano continuamente di tono e prevalenza narrativa, trionfa lo stile acuminato di Polanski che frulla un uomo e una donna come per distillare un antidoto al virus della quotidiana insolenza e arroganza. Niente 'badabadadada', ma solo il grottesco di ciò che sembra essere e non è. Forse, però, solo se si è Roman Polanski." (Natalino Bruzzone, 'Il Secolo XIX', 14 novembre 2013)