Un monastero in mezzo ai monti del Maghreb, anni '90. Otto monaci cistercensi francesi vivono serenamente in mezzo alla popolazione musulmana di un vicino villaggio, aiutando le persone con la medicina e dando loro ciò che manca e di cui hanno bisogno. Tuttavia, il massacro di un gruppo di operai stranieri porta scompiglio e panico tra gli abitanti del villaggio. Le autorità locali cercano di dare ai monaci una protezione, ma costoro rifiutano la proposta e poco tempo dopo ricevono la visita di un gruppo integralista, capeggiato da Ali Fayattia, che rivendica di essere l'autore del massacro. Da quel momento la vita dei monaci non sarà più la stessa e il frate priore del convento, padre Christian, ben presto sarà costretto a riunire i suoi confratelli per prendere una determinata presa di posizione...
SCHEDA FILM
Regia: Xavier Beauvois
Attori: Lambert Wilson - Christian, Michael Lonsdale - Luc, Olivier Rabourdin - Christophe, Philippe Laudenbach - Célestin, Jacques Herlin - Amédée, Loïc Pichon - Jean-Pierre, Xavier Maly - Michel, Jean-Marie Frin - Paul, Abdelhafid Métalsi - Nouredine, Sabrina Ouazani - Rabbia, Abdallah Moundy - Omar, Olivier Perrin - Bruno, Farid Larbi - Ali Fayattia, Adel Bencherif - Terrorista, Roschdy Zem, Goran Kostic
Sceneggiatura: Étienne Comar, Xavier Beauvois
Fotografia: Caroline Champetier
Montaggio: Marie-Julie Maille
Scenografia: Michel Barthélémy
Costumi: Marielle Robaut
Altri titoli:
Of Gods and Men
Durata: 120
Colore: C
Genere: DRAMMATICO
Specifiche tecniche: (1:2.35)
Produzione: WHY NOT PRODUCTIONS, ARMADA FILMS, FRANCE 3 CINÉMA
Distribuzione: LUCKY RED
Data uscita: 2010-10-22
TRAILER
NOTE
- CONSULENTE RELIGIOSO: HENRY QUINSON.
- GRAND PRIX E PREMIO DELLA GIURIA ECUMENICA AL 63. FESTIVAL DI CANNES (2010).
- CANDIDATO AL DAVID DI DONATELLO 2011 COME MIGLIOR FILM DELL'UNIONE EUROPEA.
- CANDIDATO AL NASTRO D'ARGENTO 2011 COME MIGLIOR FILM EUROPEO.
CRITICA
"Beauvois si sposta dalla sua Francia, ma per raccontare la storia vera di una comunità di monaci trappisti, installati da decenni nei monti dell'Atlante algerino, dove vivono in perfetta armonia con la comunità araba che abita nelle vicinanze. Un'esperienza finita tragicamente nel 1996, per un'azione degli estremisti della Cia. Ma anche se le responsabilità di quel massacro non sono mai state chiarite, Beauvois non usa il cinema per ricostruire o denunciare. Piuttosto sceglie di restituire il messaggio di pace e di convivenza che quei monaci avevano messo in atto nella realtà e tocca i momenti più convincenti non nei discorsi un po' troppo programmatici tra cristiani e mussulmani, ma nelle scene di vita quotidiana, nel senso di amore per la natura che i trappisti coltivano, nel rispetto tra uomini e cose che si legge nei gesti di tutti i giorni." (Paolo Mereghetti, 'Corriere della Sera', 19 maggio 2010)
"Vivere senza Hollywood? Si può. L'ovazione che ha accolto il film 'Des hommes et des dieux' diretto dal regista francese Xavier Beauvois, conferma la vitalità di un altro cinema, poco importa se proveniente dalla vecchia Europa, dal Messico o dall'Estremo Oriente: è il cinema indipendente fatto di idee originali, emozioni forti, attori così credibili e intensi da far scoppiare in singhiozzi anche gli spettatori più smaliziati, che qui al Festival sono presenti in abbondanza. (...) Mentre fuori, sulla Croisette, gli studios segnalano la propria presenza attraverso i cartelloni pubblicitari che decantano le prossime meraviglie in 3D (non scampa nemmeno Gulliver) o gli ennesimi sequel. Niente di nuovo, sotto il sole del cinema." (Gloria Satta, 'Il Messaggero', 19 maggio 2010)
"Monaci francesi nel Maghreb contro integralisti algerini. Siamo negli anni Novanta, solo un pazzo potrebbe sperare in un lieto fine. La routine di studio, preghiera, legna da spaccare, bambini poveri da curare viene interrotta da un ceffo armato e inturbantato che vuole medicine. Operai croati vengono sgozzati al cantiere. Il dramma ci sarebbe, il regista perde tempo in conversazioni multiculturali e inni al Signore." (Mariarosa Mancuso, 'Il Foglio', 19 maggio 2010)
"Applausi sì, ma di circostanza, per l'altra pellicola di giornata 'Degli dei e degli uomini' di Xavier Beauvois. Il consenso che il pubblico di Cannes in genere elargisce ai compitini ben fatti. (...) Il film dura due ore. Ma potrebbe chiudere in trenta minuti. Non c'è un personaggio o una frase che ti arrivi addosso in attesa. Compresa la sottile distinzione fra musulmani buoni e cattivi. Perché cattivi? Pare perché non leggono il Corano." (Giorgio Carbone, 'Libero', 19 maggio 2010)
"Con un riserbo che è, fin dall'inizio, la cifra vera del film, specie quando le sue pagine più commoventi si stringono attorno alla vita dei monaci, le funzioni religiose, i loro canti e, soprattutto, quei colloqui con il Priore per discutere di quello che si deciderà di fare. Dialoghi di una spiritualità fortissima, un susseguirsi di facce in primo piano ciascuna, anche in attori noti come Lambert Wilson e Michael Lonsdale, con un tono simile e una espressione egualmente intensa, mentre attorno le accoglie una cornice vivida e serena, via via sempre più purificata da immagini terse e limpidissime. Una vittoria del cinema nel momento in cui si esprime una grande vittoria dello spirito." (Gian Luigi Rondi, 'Il Tempo', 22 ottobre 2010)
"Erano sette ma non erano samurai. Erano monaci e non sapevano che sarebbero diventati martiri. (...) In compenso c'è qualcosa di molto più sfumato di un'inchiesta giudiziaria, reso con una forza, una sobrietà, una verità d'accenti che sono merce rara nel cinema d'oggi. C'è la vita quotidiana di quegli uomini che avevano scelto un paese islamico per la loro missione. C'è il loro impegno dentro e fuori dal monastero, le preghiere in latino e in arabo, il lavoro con gli abitanti di quel paesino fra i monti dell'Atlante, l'incanto di un paesaggio così vasto e incontaminato da generare insieme contentezza e sconcerto, il monaco dottore (fantastico Michel Lonsdale) che cura gratuitamente chiunque ne abbia bisogno (compresi i terroristi, certo). E poi lo sgomento che si impadronisce dei monaci quando gli integralisti iniziano a insanguinare la regione, e capiscono che come cristiani anche loro sono bersagli esemplari; l'attesa trepidante di un incontro che sperano non avvenga mai; la scoperta non meno terribile che perfino in quell'incontro possono trovare modo di confermare, chiarire, rafforzare le loro scelte. (...) I (rari) detrattori rimproverano a Beauvois di aver trascurato il contesto storico dell'ex-colonia e le vicende che stavano dietro ogni monaco (così belle che meriterebbero un film a parte). Ma lo sguardo limpido e fermo con cui seguiamo l'attesa dei monaci, la ridda di sentimenti umanissimi e contraddittori, il dibattito insieme pubblico e interiore che infine decide tutti a restare, hanno la forza di un film di Dreyer e la schiettezza, l'umanità, il senso del gruppo di John Ford. Un'esperienza rara. E non solo al cinema." (Fabio Ferzetti, 'Il Messaggero', 22 ottobre 2010)
"C'è un paragone che incombe su 'Uomini di Dio', ed è quello con il celebre documentario 'Il grande silenzio' di Philip Groning. Un paragone letale al box-office, perché non sono poi molti gli spettatori disposti ad entrare metaforicamente in convento per tutta la durata di un film. Ebbene, 'Uomini di Dio' non è un documentario, e non è un film punitivo. E' un apologo civile e religioso in forma di film, girato con un pudore degno di Robert Bresson, ma anche con una tensione emotiva e narrativa degna, qua e là, di un thriller. Se un titolo classico torna alla memoria, è 'Missione in Manciuria', opera ultima e altissima di John Ford. (...) Beauvois ci porta dentro il monastero e ci fa condividere la quotidianità dei monaci. Che è fatta di preghiere e di canti (musiche stupende), ma anche di colazioni mattutine e di pranzi molto parchi, di piccole ripicche e di innocenti gelosie. (...) 'Uomini di Dio' è una toccante riflessione su come la religione possa, da fonte d'amore, trasformarsi in odio. Il titolo italiano è paradossalmente illuminante: sono uomini di Dio i monaci, ma si credono uomini di Dio anche i terroristi che li uccidono. Sono sempre gli uomini a far parlare gli dei in base ai loro desideri, alla loro bontà o alla loro crudeltà. No gli uomini a decidere, a fare la storia. Gli dei hanno altro a cui pensare." (Alberto Crespi, 'L'Unità', 22 ottobre 2010)
"Pole position di incassi nazionali e tema all'attualità dei dibattiti politici, laici e religiosi. Ha messo d'accordo uomini e dei, verrebbe da dire, il nuovo film di Xavier Beauvois, che racconta il tragico fatto di cronaca che nel 1996 costò la vita a 7 monaci cistercensi stanziati in Algeria. (...) Ed è questa testimonianza, profondamente umana più che religiosa, il valore primario di un film, a tratti retorico, ma sobriamente girato tra lunghi silenzi e immagini che restano." (Anna Maria Pasetti, 'Il Fatto Quotidiano', 22 ottobre 2010)
"Arriva in Italia il film che ha vinto il Gran premio della giuria a Cannes e ha poi sbancato il botteghino francese. 'Uomini di Dio' si svolge in un monastero cistercense in Algeria, i cui religiosi seguono una regola di preghiera, carità e altruismo. (...) La vicenda è realmente accaduta a Tibéhirine nel 1996, ma al regista Beauvois non interessa tanto crocifiggere i colpevoli quanto individuare le responsabilità che ciascun uomo si assume per la propria condotta morale, sottolineando che esiste sempre una scelta etica possibile, anche nelle circostanze più difficili. Un film di rara semplicità narrativa, di tempi dilatati e grandi silenzi, che costruisce un crescendo emotivo inarrestabile come la sorte dei monaci protagonisti, coerenti nel seguire la propria vocazione, umana e spirituale." (Paola Casella, 'Il Sole 24 Ore', 22 ottobre 2010)