La gelosia è un soffio che porta allo sfinimento mentre il perdono consola, la speranza è un soffio che viene trattenuto e la passione, invece, che viene liberato.
SCHEDA FILM
Regia: Kim Ki-duk
Attori: Chang Chen - Jang Jin, Park Ji-a - Yeon, Ha Jung-woo - Mari, Kim Ki-duk
Sceneggiatura: Kim Ki-duk
Fotografia: Sung Jong-moo
Musiche: Song Myung-chul
Montaggio: Wang Su-an
Scenografia: Kwang In-jun
Altri titoli:
Breath
Souffle
Durata: 80
Colore: C
Genere: DRAMMATICO
Produzione: CINECLICK ASIA, KIM KI-DUK FILM, SPONGE
Distribuzione: MIKADO, DVD: DOLMEN HOME VIDEO
Data uscita: 2007-08-31
NOTE
- IN CONCORSO AL 60MO FESTIVAL DI CANNES (2007).
CRITICA
"L'ennesima tessitura concettosa e labirintica di Kim insinua il sospetto di una precedente sopravvalutazione." (Paolo D'Agostini, 'la Repubblica', 20 maggio 2007)
"Non sempre nitidissimo ma molto emozionante invece il percorso di Kim Ki-duk, che con 'Breath' ('Respiro'), accolto da una lunga ovazione, torna ai mondi chiusi, alle relazioni impossibili, al travaso fra immagine e realtà, fra la libertà della creazione e i limiti del corpo e delle sue passioni (mai dimenticare che il regista coreano è cattolico). (...) Detta così sembra lambiccato e poetico, in senso negativo. Ma Kim Ki-duk gira in fretta e anche se viene dalla pittura le sue immagini hanno sempre l'urgenza delle idee cui danno forma e lo slancio miracoloso delle prime volte. Quello slancio che manca crudelmente in troppi film europei (e americani), oberati da una memoria a dir poco ingombrante." (Fabio Ferzetti, 'Il Messaggero', 20 maggio 2007)
"Accomuna ogni storia di Kim Kiduk la propensione per delinquenti e falliti e la repulsione per borghesi e ricchi. La dichiara con violenza: la prima volta che in Italia si parlò di lui fu per 'L'isola', presentato alla Mostra di Venezia, dove c'era la nota scena del giovanotto preso all'amo, dettaglio cruento che ahimè distolse l'attenzione dei lettori dal valore del film. È perciò comprensibile che i devoti del cinema alternativo seguano Kim Ki-duk. Ma anche gli altri dovrebbero occuparsene, perché - nella coerenza tematica -Kim gira sempre film abbastanza diversi. Non ci sarebbe da stupirsi se domenica prossima fosse tra i titoli premiati, con il suo amour fou, tra un condannato a morte (Chang Chen) per l'assassinio di moglie e figli, deciso a suicidarsi, e una borghese in vena d'evasione (Zia) dal marito infedele (Jung-Woo Ha). È una preparazione alla fine, non il
racconto di un nuovo inizio. Volendo ci si commuove." (Maurizio Cabona, 'Il Giornale', 20 maggio 2007)
"Con 'Soom' ('Soffio'), il regista coreano si ricollega all'universo di 'Ferro 3', al suo sradicamento esistenziale e alla sua logica di violenza e sopraffazione, ma in modi ancor più radicali e stranianti. (...) Affidandosi più alle immagini che alla (scarse) parole, Kim racconta una passione che cresce nonostante tutto sembri ostacolarla, dalla gelosia del marito alle regole del carcere per offrirci il quadro di un mondo dove tutti vivono imprigionati (la modernissima casa di Yeon ha quasi meno finestre del carcere) e dove i sentimenti non riescono a realizzarsi. Con una libertà narrativa che non si preoccupa della razionalità e con una forze espressiva che aggira la povertà di mezzi, questo film magico e misterioso prende per mano lo spettatore per portarlo dentro i misteri dei sentimenti umani e la logica apparentemente contraddittoria delle passione, capaci di dare vita e morte quasi nello stesso momento." (Paolo Mereghetti, 'Corriere della Sera', 20 maggio 2007)
"A volte le autocitazioni nel cinema possono risultare stucchevoli oltre che ridondanti, ma non è così nel caso di Soffio, ultimo film del prolifico regista coreano di Kim Ki-Duk. Il già visto qui è soprattutto nella simbologia, che è il dato caratterizzante di una pellicola decisamente problematica, per temi e situazioni, ma tragicamente poetica nel suo documentare i sentimenti in maniera tanto estrema. Amore e morte si incontrano e si scontrano nelle vite dei due protagonisti, chiamati a rappresentare rispettivamente pulsioni negative e positive in un contesto di costrizione, metafora del disagio di vivere, dell'alienazione di tante esistenze. Dopo aver appreso in tv la notizia del tentato suicidio di un condannato a morte, una donna - tradita dal marito - decide di andarlo a trovare. (...) Nella donna tradita si legge la volontà di un riscatto che non può passare solo attraverso la propria sofferenza, ma deve confrontarsi e fondersi con quella dell'altro. Per il condannato quegli incontri sono un'inaspettata boccata d'aria ("Breath", respiro, il titolo originale) in un cammino che inesorabilmente conduce alla morte. È l'incontro di due anime alla deriva che si appoggiano l'una all'altra per continuare a vivere, che si tratti di una vita intera o di pochi giorni. Se per la donna il condannato è un'occasione per ritrovare se stessa e i propri affetti sperimentando il valore del perdono, lei diventa per lui una sorta di samaritana della speranza, capace di alleviare il peso dell'attesa della fine e di ridare un senso persino ad un'esistenza senza un futuro. (Gaetano Vallini, 'L'Osservatore Romano, 14 settembre 2007)