L'analfabeta Chance (la sua sola fonte d'istruzione è la TV), ha passato tutta la vita facendo il giardiniere in una casa di Washington. Alla morte del padrone egli, che ha ormai cinquant'anni, ma l'età mentale di un bambino, si vede costretto a sloggiare. Mentre vaga per le strade viene urtato dall'auto di una ricchissima signora. Eve O'Brien. Colpita dalla sua aria di distinto gentiluomo, e preoccupata forse più di quanto meriterebbe l'incidente, la donna si porta Chance in casa, per farlo curare dal medico di famiglia. Il morente marito di Eve, Ben O'Brien - un uomo ancora potente, amico personale del Presidente degli Stati Uniti - è così impressionato dall'aura di riservatezza che circonda il suo ospite, da attribuirgli doti che egli davvero non ha. Scambiato per un uomo di profonde intuizioni, mentre è un semplice di spirito, e confusa la sua goffaggine con il "sense of humour", Chance, di cui Eve si è addirittura innamorata, viene presentato al Presidente. Il colloquio tra i due - in cui i continui riferimenti di Chance al giardinaggio, cioè alla sola cosa che conosca davvero, passano per acute metafore sulla conduzione dello Stato - sconcerta il Presidente, che si affanna a ordinare inchieste riservate su quell'uomo di cui non aveva mai sentito parlare. Le indagini dell'FBI e della CIA non rivelano nulla sul conto di Chance, che intanto, però, intervistato dalla stampa e dalla TV, è diventato una celebrità nazionale. Lo è a tal punto che, quando Ben muore, i suoi amici progettano di candidare Chance alla presidenza degli Stati Uniti.
SCHEDA FILM
Regia: Hal Ashby
Attori: Peter Sellers - Chance - Chauncey Gardiner, Shirley MacLaine - Eve Rand, Melvyn Douglas - Benjamin Turnbull Rand, Jack Warden - Presidente Bobby, Richard Dysart - Dr. Robert Allenby, Richard Basehart - Vladimir Skrapinov, Ruth Attaway - Louise, David Clennon - Thomas Franklin, Fran Brill - Sally Hayes, Oteil Burbridge - Lolo, Ravenell Keller III - Abraz, Donald Jacob - David, Ernest M. McClure - Jeffrey, Kenneth Patterson - Perkins, Richard Venture - Wilson, Arthur Grundy - Arthur, Georgine Hall - Signora Aubrey, Nell P. Leaman - Constance, Villa Mae P. Barkley - Teresa, Alice Hirson - First Lady, James Noble - Kaufman, Brian Corrigan - Poliziotto Fuori Dalla Casa Bianca, Alfredine Brown - Donna Anziana, Jerome Hellman - Gary Burns, Denise Dubarry - Johanna
Soggetto: Jerzy Kosinski
Sceneggiatura: Jerzy Kosinski, Robert C. Jones
Fotografia: Caleb Deschanel
Musiche: Johnny Mandel
Montaggio: Don Zimmerman
Scenografia: Michael D. Haller
Costumi: May Routh
Altri titoli:
CHANCE
WILLKOMMEN, MR. CHANCE
Durata: 130
Colore: C
Genere: SATIRICO
Specifiche tecniche: 35 MM, PANAFLEX, TECHNICOLOR
Tratto da: ROMANZO "PRESENZE" DI JERZY KOSINSKI
Produzione: ANDREW BRAUNSBERG PER BSB, CIP, ENIGMA, FUJISANKEI, LORIMAR FILM ENTERTAINMENT, NATWEST VENTURES, NORTHSTAR
Distribuzione: GOLD PEC (1980)
NOTE
- COLLABORAZIONE NON ACCREDITATA ALLA SCENEGGIATURA: ROBERT C. JONES.
- OSCAR 1980 A MELVYN DOUGLAS COME MIGLIOR ATTORE NON PROTAGONISTA.
- GOLDEN GLOBE 1980 A PETER SELLERS COME MIGLIOR ATTORE PROTAGONISTA E A MELVYN DOUGLAS COME MIGLIOR ATTORE NON PROTAGONISTA.
CRITICA
"Decisiva la forza del romanzo di Jerzy Kosinski ("Presenze", tra poco tradotto per il mercato italiano. Lo scrittore d'origine polacca deve la sua popolarità a numerosi premi letterari - tra cui il National Boock Award - ma soprattutto ad una vita privata assai tormentosa. Fuggito dalla patria nel 1957 (non prima di essere rimasto muto dai nove ai quattordici anni e di aver ritrovato la parola grazie allo shoch di un incidente di sci), avventurosamente si è fatto strada in America ("L'uccello dipinto" è per molti americanisti uno del più bei romanzi del dopoguerra). Amico intimo di Polanski era atteso nella villa di Beverly Hijls la notte in cui massacrarono Sharon Tate: si salva per aver perso una coincidenza aerea. Sarà per questo che i critici americani amano definirlo "Crudele, ironico, palpitante, stranamente perverso ma estremamente morale." AI penultimo titolo (segue soltanto un "Dottor Fu-Manchu", inedito), Peter Sellers consegnò il sigillo più adamantino della sua bravura. II mediocre regista Ashby (che è soprattutto un buon montatore) tocca lo stato di grazia proprio per la sua indimenticabile "performance". Sellers è uno Chance folgorante mattatore di espressioni e di movimenti di mimiche facciali (rarefatte in sorrisi enigmatici) e di camminate tranquille e solenni. Ogni sequenza gode di un retrogusto, struggente, perché l'attore inserisce nell'ebetudine del giardiniere un "quid" inesprimibile di profondità parla come un saggio zen, mentre il volto gli si illumina a furia di lavoratissime "inespressività" degne di Keaton. L'acme di questa prestazione sublime è nel finale: il magnate è morto; l'Ufficialità decreta gli onori funebri, i politici pensano a Chance come possibile successore. Ma a lui basta sapere che non lo cacceranno, che potrà restarsene radicato negli stessi luoghi come una pianta: che camminerà sull'acqua da profeta disarmato come sta già provando a fare. (Valerio Caprara "Il Mattino")
"Tutto amabilissimo. E in molti casi francamente spassoso. La sceneggiatura, dello stesso Kosinski, perde un po' per strada, subito dopo l'avvio, la beffa ai danni della televisione, ma il film, procedendo, non tarda a dare spazio alla beffa politica con un gusto colorito ed astuto, giocando su una ridda di contrattempi e di equivoci che anche se, come meccanismi e strutture sono quelle delle vecchie commedie, sono rispolverati ad ogni passo da un brio, da una freschezza di trovate, e soprattutto, da una malizia di dialoghi, sempre godibili e ghiotti, con accenti a volte così stralunati e sospesi da sfiorare per un verso il surreale e da ricordare, per un altro verso, le analoghe atmosfere in equilibrio tra la favola e l'apologo dei film "politici" di Frank Capra. Certo, qua e là nel racconto ci sono dei momenti un po' stanchi che rasentano specie all'inizio, i tempi morti, ma la regia di Hal Ashby riesce spesso a superarli oltre che con una innegabile disinvoltura narrativa, con delle cure molto attente nei confronti della recitazione, portata in tutti gli interpreti a livelli così esemplari che il vecchio Melvyn Douglas, per la sua caratterizzazione del magnate moribondo, si è visto addirittura attribuire ad aprile l'Oscar per il miglior attore non protagonista. Quello per il protagonista, pur meritandolo, non lo ha avuto il compianto Peter Sellers, nei panni del giardiniere così come, pur meritandola non ha avuto la Palma a Cannes. La sua interpretazione, invece, penultima della sua carriera, era un prodigio di sottigliezza e, contemporaneamente, di distacco, soprattutto nella versione originale in cui si faceva sorreggere, con finissima furbizia, da una voce quasi senza toni, omofona, priva di echi, che gli consentiva di ricamare le battute senza mai accentuarle, collegandole ad una gestualità contenuta, misurata, ai limiti dell'astratto. La giuria di Cannes premiando i francesi Michel Piccoli e Anouk Aimée doppiati in un film italiano ("Salto nel vuoto") ha creduto di prendere, come spesso accade ai festival, due piccioni con una fava e invece ha preso solo un granchio, purtroppo, anche con l'adesione del sottoscritto. Chi dice male del premi citi questo granchio ad esempio." (Gian Luigi Rondi, "Il Tempo")
"Hal Ashby (classe 1936, una lunga esperienza come montatore, regista di film come "Il padrone di casa", "Harold e Maude", "L'ultima corvée", "Shampoo", "Questa terra è la mia terra", 'Tornando a casa") e uno di quei sottili ricamatori di testi letterari che non si limita a una diligente illustrazione della pagina scritta, ma che ne sa interpretare le più riposte sfumature, riproporre gli umori, restituire il sapore. Lo aveva dimostrato con "Harold e Maude", tratto dall'omonima commedia di Colin Higgins che visse uno dei più brillanti periodi di notorietà con la messa in scena allestita da Jean-Louis Barrault e Madeleine Renaud alla Gare d'Orsay, lo conferma ora con "Oltre il giardino" ricavato dal romanzo "Presenze" di Jerzy Kosinsky, edito da Mondatori. Mentre in "Harold e Maude" Halsby aveva posto l'accento sull'amore intenso come forza in grado di rimuovere ogni ostacolo, compreso quello di una sensibile differenza d'età, in "Oltre il giardino" richiama ora Ia nostra attenzione sull'innocenza e sulla semplicità, virtù capaci di spianare anche la strada più dissestata. Siamo di fronte a una favola che sfuma nell'apologo, a una favola moderna, a una satira che indirizza i suoi allegri strali contro l'ottusa cecità del potere economico e di quello politico che caricano a testa bassa senza mai dimostrare un briciolo di sensibilità". (...) Penultimo film del compianto Peter Sellers, che secondo la critica fornisce qui la sua migliore interpretazione, Oscar per il miglior attore non protagonista a Melvyn Douglas, "Oltre il giardino" non è soltanto una commedia divertente e gustosa, non è soltanto un "divertissement" giocato con estrema raffinatezza con quei tocchi sopraffini e garbati che ne fanno uno spettacolo frizzante e sfaccettato, ma un'opera dotata di mordente, graffiante e caustica sia nei confronti dell'intontimento provocato da un dissennato consumo televisivo, sia nei riguardi di un altro potere, (quello economico e politico) colosso dai piedi d'argilla, pachiderma dotato di scarsa intelligenza. E' stato acutamente osservato che Hal Ashby è un Frank Capra perverso ed è vero, perché nei film di Frank Capra la bontà trionfa e i cattivi si ravvedono, qui, invece, i "cattivi" rimangono tali, derisi e beffeggiatl da quel sistema di vita che essl stessi hanno creato (...)". (Enzo Natta, "Nostro Cinema")
"Ci sono film di garbo pensoso e discreto, riflessivi con ironia intelligente, che depositano nella sensibilità suggestioni ed echi destinati a lievitare col tempo, nel ripensamento e nella riconsiderazione della memoria. E' il caso di "Oltre il giardino" (Being there), scritto dal romanziere polacco Jerzy Kosinski e diretto dall'americano Hal Ashby ("L'ultima corvee", "Shampoo"), piuttosto snobbato a Cannes, ma ora capace di farsi rivedere con affettuosa simpatia e caldo piacere. Una favola moderna con risvolti di semplicità evangelica sulIa trasparenza di una semplicità di cuore fraintesa e non più captata come tale dagli uomini, sulla disarmante stupidità del potenti, sulla manipolazione che i "mass-media" operano nelle coscienze, sull'incapacità di accogliere le verità più elementari e pure senza ricercarne sottintesi ambigui e furbeschi e quindi ritenuti potenzialmente pericolosi, da neutralizzare, assorbire e magari sfruttare. (...) Un'operina deliziosamente ammiccante e fertile di umori faceti, di ambiguità interrogante, di grazia ironica e surreale. II vetusto gioco degli equivoci e dei "qui pro quo" si aggiorna sotto forma di parabola o "raccontino morale" di sicuro divertimento e pacati ma aguzzi suggerimenti, che rinfresca la commedia americana dandole originali spessori." (Renzi Gilodi, "ll nostro tempo")