La voce della luna

ITALIA, FRANCIA 1989
Nella "bassa padana", il mite Ivo Salvini, la cui mente è sempre in bilico tra fantasie e realtà, crede di sentire delle voci, provenienti dai pozzi della campagna illuminata dalla luna, che lo esortano ad andare lontano per inseguire il suo ideale di donna che assomiglia alla luna tanto amata. Nel suo vagabondare ha diverse piccole avventure con strani personaggi, tutti in possesso di una certa dose di follia: l'eterea Aldina di cui è invaghito; lo strampalato oboista che vive in un loculo cimiteriale; il bislacco Nestore con l'attitudine a guardare il mondo dai tetti; lo stravagante e grottesco Gonnella, un prefetto in pensione che sempre crede di vedere congiure dappertutto e si affanna, di conseguenza, per debellarle. Salvini, divenuto amico di Gonnella, viene da questi nominato suo luogotenente: insieme irrompono in una immensa discoteca; poi assistono ad una grande festa organizzata per celebrare la cattura della luna ad opera di una mostruosa trebbiatrice. Durante la ripresa televisiva in diretta di questo avvenimento tutti risultano frastornati tra suoni, balli e grida, ad eccezione di Salvini e di Gonnella - l'uno perchè innamorato, l'altro perché angosciato - i soli capaci di comprendere e rispettare il fascino ed il mistero della notte, illuminata dagli astri e piena di silenzio.
SCHEDA FILM

Regia: Federico Fellini

Attori: Roberto Benigni - Ivo Salvini, Paolo Villaggio - Prefetto Gonnella, Nadia Ottaviani - Aldina, Marisa Tomasi - Marisa, la vaporiera, Angelo Orlando - Nestore, Sim - L'oboista, Syusy Blady - Susy, la sorella di Aldina, Dario Ghirardi - Il giornalista, Dominique Chevalier - Terzio Micheluzzi, Nigel Harris - Giuanin Micheluzzi, Vito - Il terzo fratello Micheluzzi, Andrea Azzariti - Il re dello Gnocco, Ferruccio Brembilla - Il medico Speroni, Giordano Falzoni - Il professore, Jerry Flagello - Il prete, Franco Javarone - Il becchino, Larose Keller - La duchessa, Eraldo Turra - L'avvocato, Angela Parmigiani - La regina dello Gnocco, Patrizio Roversi - Il figlio di Gonnella, Uta Schmidt - La nonna, Silvana Strocchi - La moglie dell'oboista, George Taylor (II) - L'amante di Marisa, Luciano Manzalini

Soggetto: Ermanno Cavazzoni - libro

Sceneggiatura: Federico Fellini, Tullio Pinelli - collaborazione, Ermanno Cavazzoni - collaborazione

Fotografia: Tonino Delli Colli, Marco Sperduti - operatore

Musiche: Nicola Piovani

Montaggio: Nino Baragli

Scenografia: Dante Ferretti

Arredamento: Francesca Lo Schiavo

Costumi: Maurizio Millenotti

Aiuto regia: Gianni Arduini

Durata: 118

Colore: C

Genere: FANTASY

Specifiche tecniche: EASTMANCOLOR, TECHNICOLOR

Tratto da: liberamente ispirato al romanzo "Il poema dei lunatici" di Ermanno Cavazzoni

Produzione: MARIO E VITTORIO CECCHI GORI PER CECCHI GORI GROUP, TIGER CINEMATOGRAFICA, RAI (ROMA), CINEMAX (PARIGI)

Distribuzione: PENTA DISTRIBUZIONE (1990) - VIVIVIDEO, CECCHI GORI HOME VIDEO

NOTE
- DAVID DI DONATELLO 1990 PER MIGLIORE ATTORE (PAOLO VILLAGGIO), MIGLIORE MONTAGGIO (NINO BARAGLI), MIGLIORE SCENOGRAFIA (DANTE FERRETTI).
CRITICA
"Un contenitore grandioso e colorito. Ricche di pregi le luci, la fotografia e le musiche: coloriti e sapidi i personaggi di contorno, sorprendente la interpretazione di Roberto Benigni e di Paolo Villaggio". ('Segnalazioni cinematografiche', vol. 108, 1990).

"Alle soglie della terza età Fellini è tornato sull'antica strada di Gelsomina, ma è noto che la provincia dell'emisfero consumista è oggi un gran carnevale di sovrastrutture rutilanti: la dolce vita si è trasferita in periferia evidenziando la volgarità delle gnoccate, dei concorsi di bellezza, delle sponsorizzazioni politico-religiose. Ovunque si grida, si suona, si starnazza e talvolta si spara; e in tanto fragore rischia di perdersi per sempre quella 'voce della luna', che è un bisbiglio magari immaginario, smozzicato, intelligibile solo per matti e iniziati. Del resto catturare la luna, come fanno fantascientificamente alcuni paesani imbragandola in una cascina, serve solo ad animare l'ennesima tavola rotonda sulla piazza di Reggiolo con l'odiosa ufficialità impegnata a sfruttare l'evento. E la morale che si trae dalla contemplazione del disordine è perfino troppo semplice: 'Se tutti facessimo un po' di silenzio, forse qualcosa potremmo capire'. Quando il pirotecnico Benigni suggella il film con questa frase siamo tutti amaramente consapevoli che il mondo del silenzio, della poesia e dell'estasi ci sta ormai alle spalle; e che il nostro destino, già scritto, sarà di imboccare il pertugio per l'aldilà in mezzo a un chiasso indiavolato. La voce della luna è la fantasticheria di un filosofo scontento che ha fatto un sogno dopo aver letto il romanzo Il poema dei lunatici di Ermanno Cavazzoni. Un libro amabilmente popolaresco e buffo, ma anche gelatinoso e iterativo, dal quale Fellini con l'ispirazione del grande illustratore ha tratto in sostanza l'immagine archetipica di: un pozzo nella campagna sotto la luna, e un matto davanti". (Tullio Kezich, "Panorama", 1990).

"Dettato a Fellini dalla sua insofferenza nei confronti della società e del sistema di valori in cui ormai si riconosce la maggioranza, ma anche da una giovanile autoironia che ne compensa il moralismo, La voce della luna - liberamente ispirato a un romanzo di Ermanno Cavazzoni e sceneggiato dal regista con la collaborazione di Tullio Pinelli e dello stesso Cavazzoni - è un «racconto cinematografico» che tiene molto della chiacchierata buffa e malinconica, intenerita dalle lucciole e ricchissima di punti-luce. Infuriato e deluso dall'assordante Italia contemporanea (ma il maestro dovrebbe sapere che il Silenzio abita nella Casa del sonno...), in cui legge un'irrimediabile paranoia planetaria, Fellini cerca conforto nel darne una rappresentazione grottesca, dove il Salvini e il Gonnella sono emblemi strazianti: l'uno d'un salvifico andar cercando la chiave del mondo pur sapendo che è introvabile, l'altro d'un rovinoso sentire il vero come una perenne minaccia nascosta. Per il Salvini (un lunatico creativo) la realtà è oltre la soglia buia, per il Gonnella (un lunatico catastrofico) è sotto una bieca coperta. Per l'umanità che li circonda, invece, il mondo sta bene così, la vita è ancora dolce, con quell'accozzaglia infame di edifici contraddittori, le selve di antenne televisive, i cartelloni pubblicitari che lanciano slogan cretini in lingue straniere, le contadine di pelle nera che dimenano i culoni, la sposa in calore che s'avventa sul maritino, i soliti turisti giapponesi, i camion carichi di Madonne, e la consueta, irresistibile, galleria di caricature. Tutte mosse, insieme a noi, nel Regno dell'Irrealtà, dove al romantico bacio della luna si oppone burlescamente la greve civiltà dello gnocco, e il cinema consacra la finzione. Costruito stavolta da Fellini con un ancor più accentuato rifiuto d'ogni struttura convenzionale, ma con una intatta seppure rapsodica virtù d'inventare figure, ambienti e situazioni, e tanto spesso ancora
d'insuperata qualità nelle immagini, il film ricorre, per ingraziosirsi anche il botteghino, ad attori popolari, e n'è premiato. Mentre Roberto Benigni, nel cui pallore lunare s'incrociano Leopardi, Pinocchio e Pierrot, dimentico della propria maschera sfrontata, parla in un italiano fin troppo pulito ed educato ma dà al Salvini le vibrazioni d'una piuma, Paolo Villaggio è un Gonnella di forte carica drammatica, nel quale Fantozzi si ribalta con insospettata intensità. Fra i moltissimi altri attori, alcuni dei quali familiari agli spettatori di varietà televisivi, è doveroso citare almeno Syusy Blady, la sorella dell'Aldina. E dieci con lode va ancora una volta ai collaboratori preziosi di Fellini: Delli Colli, Ferretti, Millenotti, Baragli, il musicista Nicola Piovani, in certi momenti un Nino Rota redivivo". (Giovanni Grazzini, "Il Messaggero", 1° febbraio 1990).

"L'ultimo film di Fellini è un mega contenitore per cinefili d'essai, dove si rincorrono alla rinfusa realtà e fantasia, che farà piangere (per la rabbia) anche il residuo zoccoletto duro dei nostalgici del sommo vate. Un variegato caravanserraglio con i soliti personaggi strampalati che il Maestro ha saputo riciclare con stupefacente ostinazione da 'Otto e mezzo' in poi. Pure Benigni e Villaggio fanno la figura dei fessi. Come gli spettatori che oseranno dire che non hanno capito niente". (Massimo Bertarelli, 'Il Giornale', 10 febbraio 2001)