Elle

4/5
Il 77enne Paul Verhoeven in ottima salute: provocazioni, ironia e risate in un thriller sui generis con la grande Isabelle Huppert

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GERMANIA 2016
Michèle è una donna decisa e rigorosa, nella propria attività professionale - è a capo di una grande azienda di videogiochi - così come nella vita privata e sentimentale. Tutto cambia dopo l'aggressione subita in casa sua da parte di uno sconosciuto misterioso. Imperterrita, Michèle si sulle tracce dell'aggressore, dando vita a un gioco che può diventare molto pericoloso...
SCHEDA FILM

Regia: Paul Verhoeven

Attori: Isabelle Huppert - Michèle, Laurent Lafitte - Patrick, Anne Consigny - Anna, Charles Berling - Richard, Virginie Efira - Rebecca, Judith Magre - Irène, Christian Berkel - Robert, Jonas Bloquet - Vincent, Alice Isaaz - Josie, Vimala Pons - Hélène, Arthur Mazet - Kevin, Raphaël Lenglet - Ralph, Lucas Prisor - Kurt, Hugo Conzelmann - Phillip, Kwan Stéphane Bak - Omar

Soggetto: Philippe Djian - romanzo

Sceneggiatura: David Birke

Fotografia: Stéphane Fontaine

Musiche: Anen Dudley

Montaggio: Job ter Burg

Scenografia: Laurent Ott

Costumi: Nathalie Raoul

Durata: 130

Colore: C

Genere: THRILLER

Specifiche tecniche: (1:2.40)

Tratto da: romanzo "Oh" di Philippe Djian

Produzione: SBS PRODUCTIONS, TWENTY TWENTY VISION FILMPRODUKTION, FRANCE 2, IN COPRODUZIONE CON CINÉMAENTRE CHIEN ET LOUP, PROXIMUS

Distribuzione: LUCKY RED (2017)

Data uscita: 2017-03-23

TRAILER
NOTE
- REALIZZATO CON LA PARTECIPAZIONE DI: CANAL+, FRANCE TÉLÉVISIONS, OCS, CENTRE NATIONAL DU CINÉMA ET DE L'IMAGE ANIMÉE, GERMAN FEDERAL FILM BOARD FFA, CON IL SOSTEGNO DI: TAX SHELTER DU GOVERNEMENT FEDERAL BELGE, CASA KAFKA PICTURES, BELFIUS, CINÉMAGE 7 DEVELOPPEMENT.

- IN CONCORSO AL 69. FESTIVAL DI CANNES (2016).

- PRESENTATO AL 34. TORINO FILM FESTIVAL (2016) NELLA SEZIONE 'FESTA MOBILE'.

- GOLDEN GLOBES 2017 PER: MIGLIOR FILM STRANIERO E MIGLIOR ATTRICE PROTAGONISTA DI FILM DRAMMATICO (ISABELLE HUPPERT).

- ISABELLE HUPPERT È STATA CANDIDATA ALL'OSCAR 2017 COME MIGLIOR ATTRICE PROTAGONISTA.

- CANDIDATO AL DAVID DI DONATELLO 2018 COME MIGLIOR FILM STRANIERO.
CRITICA
"Oscurità e potenza dei «basic instinct». Non stiamo parlando, però, del thriller di culto anche se il regista non a caso è lo stesso: «Elle», infatti, rimette in pista l'olandese Paul Verhoeven che dopo il sottovalutato «Black Book» (2006) sembrava avviato a distaccarsi dal mestiere esercitato ai massimi livelli al di qua e al di là dell'Oceano. Per la prima volta attivo in Francia (...) l'irrequieto settantottenne coglie con straordinaria acutezza l'ambiguità, la violenza e il grottesco allignati nei gangli dell'élite parigina borghese e li spande sull'intera superficie di un film scabroso, ossessivo, eversivo e amorale che va a posizionarsi in una costellazione d'hitchcockiani tardivi come Chabrol, De Palma, Haneke. Acclarato che non è soltanto difficile ma anche inutile assimilare «Elle» a un genere definito, potremmo pensare a una storia di fantasmi in riferimento, però, a quelli suscitati nell'anima e la carne della protagonista dal buttale prologo e poi dilaganti in una reazione a catena di passioni e vergogne che riguardano anche l'interazione con i personaggi collaterali, tutti via via indotti a rivelare un'incrinatura morale, un identikit occultato o una motivazione abietta. (...) ricorrendo a una gamma di espressioni, gesti, comportamenti che solo un'attrice «totale», cioè in grado di entrare nel personaggio senza essere condizionata dall'età, le inibizioni, il bon ton e il buon gusto come la Huppert poteva portare a un livello d'intensità altrettanto aspra. (...) Accostando i destini di due alieni sessualmente compatibili, script e film mettono sullo stesso piano trasgressivo uomini e donne e portano avanti la negazione dell'esistenza di un'unica forma di sessualità per gli uni e le altre insieme alla convinzione che non sia, dunque, il genere a determinare natura e regole dei desideri e soprattutto di quelli inconfessabili e repulsivi." (Valerio Caprara, 'Il Mattino', 23 marzo 2017)

"Nel titolo, 'lei', c'è l'esclusivo fuoco del film: un racconto su corpo e anima femminili, ma in una irripetibile, ambigua, personalità, allineata, si direbbe, a corpo e anima dell'interprete. Senza la Huppert, sfinge quasi irritante, tante reazioni e omissioni di Michelle (...) sarebbero inverosimili. Alla fine è lei il vero 'giallo'. Verhoeven è abilissimo a declinare il mistero di un personaggio nel personale thriller 'basic instinct' della sessualità, accumulando informazioni psicologiche più importanti dei colpi di scena, in un flusso di tensione cucito alla cinepresa. (...) Nonostante la permanente sensazione di trovarsi al limite di un nichilismo non plausibile, questa donna vibra di glaciale sofferenza. Sharon stava nel cinema. Isabelle nella vita." (Silvio Danese, 'Nazione-Carlino-Giorno', 23 marzo 2017)

"(...) un film di più di due ore avventuroso, spiazzante e spiritoso, tratto dal romanzo "Oh..." di Philippe Djian (...). 'Elle' è una stranissima bestia multiforme: dramma familiare, commedia nera, giallo hitchcockiano (si sospetta di un vicino come ne 'La finestra sul cortile', sono presenti forbici da usare come arma di difesa modello 'Il delitto perfetto') e shock erotico europeo (c'è il sadomasochismo de 'La pianista' di Haneke nonché il trauma che ti trasforma da vittima in carnefice à la 'Il danno' di Louis Malle). Solamente Isabelle Huppert sarebbe stata in grado di interpretare un personaggio cosi potente, complesso e affascinante. Solamente Paul Verhoeven avrebbe potuto avere il coraggio di sfidare una grande attrice a esplorare il cuore di tenebra della sessualità femminile. Da un buon romanzo, un film eccezionale." (Francesco Alò, 'Il Messaggero', 23 marzo 2017)

"(...) 'Elle' è una grossa opera. Pur partendo da premesse che sulla carta potevano mettere al mondo il pasticciaccio brutto. Il film è (ma non del tutto) un intrigo a suspense (...). In seconda istanza è una commedia boulevardier sui giochi delle coppie, un gioco dove la predatrice riscuote comunque la simpatia delle sue vittime, soprattutto delle donne (per forza, nessuno degli uomini vale una cicca, chi varrebbe qualcosa si rivela uno psicopatico). Terza vena narrativa (i siparietti di vita coniugale del figlio) che richiama le commediole sugli amori dispettosi alla François Truffaut ('Baci rubati'). Last but not least, c'è spazio per il duro dramma giudiziario alla Cayatte (il non rapporto col padre mostro). Insomma un'insalata di generi che nove casi su dieci garantiva il pastrocchio indigesto. E invece così non è. Perché capitato nelle mani di due formidabili bestie cinematografiche: la Huppert e il regista Verhoeven. Isabelle. È incredibile come questo pallido donnino (mai stata bella e neppure simpatica) regga il gioco come nessuna (o quasi) primadonna di Francia abbia mai fatto a memoria di ogni cine fan. E Verhoeven, Verhoeven si impone qui tra i super dopo decenni di collocazione tra i direttori di genere ('Basic Instinct', 'Atto di forza'). Alle prese con un materiale complesso e eterogeneo, lo giostra con abilità stupefacente dall'inizio alla fine. Si ride (certo, si ride) alle battute della commedia boulevardier; si freme (alla Hitchcock) nel finale quando Michelle si espone a un assalto che si preannuncia mortale. E un po' si solidarizza con i repressi impiegati quando manipolando un videogioco combinano un atroce scherzo alla loro dispotica capetta." (Giorgio Carbone, 'Libero', 23 marzo 2017)

"Già dalla scena iniziale si intuisce che quello che lo spettatore sta per vedere non sarà un film convenzionale. (...) Solo una meravigliosa Isabelle Huppert poteva dare volto a un personaggio così complesso. Mai una volta sopra le righe, sempre perfetta, anche solo con l'espressione del viso, nel condurre lo spettatore all'interno di un viaggio nei misteri del comportamento umano. Una parte difficile che, non a caso, è stata rifiutata da diverse attrici americane. Paul Verhoeven, mai banale anche nei singoli dettagli, costruisce un grande film che sa essere duro e divertente, appassionante e dark. Lo fa, basandosi su una delle migliori sceneggiature degli ultimi anni, che non prova, finalmente, a fare la morale pedagogica a tutti i costi, lasciando all'intelligenza di chi è seduto in sala di arrivare a una sua personale presa di coscienza, come capita, nel finale, a Michèle. Questo è cinema allo stato puro. Purtroppo, sempre più raro." (Maurizio Acerbi, 'Il Giornale', 23 marzo 2017)

"Una storia di stupro, violenza pura, vittime e carnefici mescolati ad arte fra sadomasochismo, parenticidio e, naturalmente, cinismo a volontà condito da pungente ironia e magistrale ambiguità. Ma anche il racconto di una donna dal Dna problematico, figlia e testimone di padre serial killer, a sua volta acida con ogni consanguineo, tragica personificazione di un Peccato Originale dal quale sembra impossibile ogni cesura. Insomma, uno psico-thriller nero 'fuori genere' o semplicemente dentro al 'genere Verhoeven', volendone coniare uno, che sa come disturbare donne, uomini e chiunque si pregi di una morale 'edificante'." (Anna Maria Pasetti, 'Il Fatto Quotidiano', 11 marzo 2017)

"(...) Isabelle Huppert (...) è in sintonia totale con l'irriverenza del suo regista, presenza chabroliana in questa contaminazione di farsa, thriller psicologico e exploitation."(Cristina Piccino, 'Il Manifesto', 11 marzo 2017)

"Certo, lo spunto è a rischio moralismo (tanto che il progetto di girare il film in America è tramontato per il rifiuto a priori di un tale soggetto. E perché nessuna attrice voleva accettare la parte) ma Verhoeven lo tratta con un tono né cinico né voyeuristico né tanto meno accusatorio. E grazie alla straordinaria prova della protagonista sa tenersi in equilibrio tra ironia e sorpresa. Così, più che condannare lei o il film, viene da chiedersi come reagirà la protagonista di fronte alle domande che la vita le pone e che interrogano lei (e noi) sulla morale, sul sesso, sulla religiosità e la laicità di un Paese i cui ideali non coincidono più con le sue azioni." (Paolo Mereghetti, 'Corriere della Sera', 22 maggio 2016)

"Mai ascoltare i 'si dice'. Ci avevano sussurrato che Elle di Verhoeven è un disastro. Invece è un mezzo capolavoro, e diciamo mezzo perché è troppo spiazzante per ingabbiarlo in una categoria così solenne. Verhoeven infatti stupisce tre volte in ogni scena. Per ciò che accade, per come lo racconta e per come i personaggi lo vivono, in testa una Isabelle Huppert da palma, capace di rendere credibile l'incredibile muovendo un sopracciglio. Un ritorno alla grandezza (e alla libertà) di 'Starship Troopers' e 'Total Recall', con l'eros e l'immaginario al posto della fantascienza. (...) una black comedy allegramente amorale che aspira come un buco nero tutto ciò che ruota intorno a Michèle (...). Ma non credete che la freddezza di Michèle e quei giochi violenti celino traumi e spiegazioni freudiane. Verhoeven non spiega un bel nulla, anzi ci fa una pernacchia e tra sms sconci, e-mail porno, cene di Natale demenziali (guest star papa Francesco), ci diverte, ci scuote, ci fa pensare per due ore e più (troppo), costringendoci a riempire i mille vuoti lasciati ad arte dentro un racconto paradossale e insieme del tutto logico. Un perfetto antidoto ai tanti 'Neon Demon' (o 'Gone Girl'), così fintamente trasgressivi, che vanno per la maggiore a Hollywood (meno male che il progetto di farne un film americano è naufragato rapidamente). Nonché la prova che il buon cinema si fa con i dubbi e le ambiguità." (Fabio Ferzetti, 'Il Messaggero', 22 maggio 2016)

"(...) toni da commedia feroce, dialoghi taglienti e scene memorabili (la cena di Natale). La Huppert è straordinaria nella sua sferzante alterigia rotta da momenti d'ira o nevrosi. Sulla scorta del romanzo di Philippe Djian 'Oh...', l'esemplare sceneggiatura di David Birke mescola spunti iperbolici e osservazioni minute per raccontare le differenze di classe e quelle di genere. Alla fine i laici borghesi sono un po' disumani, e le 'radici cristiane' tragiche o ridicole: la cosa giusta è soprattutto 'non mentire' e recuperare una solidarietà, un'amicizia (tra donne, nello specifico). Verhoeven dirige in contro-tempo, smontando in fondo il cinema d'autore europeo come ha fatto in passato con la fantascienza (...) o il noir. Ma il suo gioco non aveva mai avuto questa profondità né questa precisione." (Emiliano Morreale, 'La Repubblica', 22 maggio 2016)

"Dopo dieci anni Paul Verhoeven torna al cinema e con il suo primo film parigino, 'Elle', firma un raffinato noir alla Chabrol, innervato di morbosità e pieno di ironia. Al centro di una cornice alto-borghese disegnata con tagliente divertimento, un dominante personaggio femminile di ultracinquantenne «vittima-per- versa», di cui Isabelle Huppert si impossessa con autorevolezza, alternando da par suo note inquietanti e registro da pochade." (Alessandra Levantesi Kezich, 'La Stampa', 22 maggio 2016)

"Esistono performance di fronte alle quali il critico deve alzarsi in piedi, mettersi sull'attenti e lasciar spazio all'ammiratore. Quella di Isabelle Huppert in 'Elle' appartiene a questa categoria. Il film (...) è notevole e segna il ritorno di Paul Verhoeven ai picchi di inizio carriera, al livello dei film olandesi che lo rivelarono a cavallo tra gli anni 70 e 80 (...). Ma la regia ambigua e insinuante di Verhoeven e lo splendido copione dell'americano David Birke (...) non avrebbero lo stesso smalto se ad incarnare il personaggio di Michelle non ci fosse la superlativa attrice (...). Sappiamo da anni che la Huppert è un'interprete di classe: l'abbiamo vista in decine di film, anche italiani (...). Ma ci sentiamo di affermare che in 'Elle' tocca il vertice di una carriera. (...) Paul Verhoeven è un regista affascinante e discontinuo, che in carriera ha realizzato film hollywoodianI di grande successo (...), di forte muscolarità (...), di totale insipienza umana (...). Non tutti erano capolavori, certo. Ma tutti avevano una caratteristica: il rifiuto consapevole della psicologia, il che fa di Verhoeven un regista modernissimo e darwiniano, un osservatore quasi entomologico del comportamento dell'animale uomo. 'Elle' è un film sullo stupro. (...) Ma né al regista, né all'attrice interessa scavare nella psiche del personaggio violentato, né tantomeno nelle implicazioni sociali di ciò che è successo. Quello che noi spettatori facciamo, nelle due ore successive, è osservare Michelle in azione. (...) Perché in quello stupro iniziale si è compiuto un rituale in cui entrambi, la femmina e il maschio, hanno realizzato una fantasia inconfessabile. Solo che la femmina sa dove il gioco può andare a parare, il maschio - come tutti i maschi del film - è solo una pedina. (...) In realtà il film è paradossalmente 'femminista' (a posteriori) pur essendo scritto e diretto da uomini. I personaggi maschili sono tutti giocattoli nelle mani di donne profondamente consapevoli (non solo Michelle, anche tutte le altre). La violenza latente è temperata da un umorismo nero qua e là folgorante. Verhoeven è tornato: in quanto alla Huppert, non è mai andata via e non è mai stata così brava." (Alberto Crespi, 'L'Unità', 22 maggio 2016)

"Catherine Tramell ha trovato il suo match. Quasi venticinque anni dopo 'Basic Instinct' Paul Verhoeven, ci regala un'erede degna della gelida bionda forse serial killer che, con un lieve movimento delle ginocchia, sedusse per sempre Michael Douglas e il pubblico dei multiplex. Per il suo primo film francese (...) Verhoeven sceglie un temerario, originalissimo, registro che contamina la farsa, il thriller psicologico e l'exploitation. Straordinaria complice del settantasettenne regista olandese è una delle attrici predilette di Claude Chabrol, i cui densi interni borghesi sono evocati in questo film. Il primo di Verhoeven da dieci anni a questa parte, l'ultimo del concorso di Cannes 2016, e il più meravigliosamente diabolico. (...) Huppert è in sintonia totale con l'irriverenza del suo regista. Da tempo non la si vedeva divertirsi così. Al punto che, ogni tanto, Verhoeven lascia che la macchina indugi un attimo in più del necessario sul suo volto - aspettando il sorriso. (...) Verhoeven suggerisce una delle più indigeribili fantasie segrete che si possano immaginare. Perché il suo è una commedia sul mistero del desiderio ma anche sulle cicatrici della vita." (Giulia D'Agnolo Vallan, 'Il Manifesto', 22 maggio 2016)