Stati Uniti del Sud, due anni prima della Guerra Civile. Il dottor King Schultz, sulle tracce dei fratelli Brittle, prende con sé lo schiavo Django e lo addestra come cacciatore di taglie. Passato l'inverno e dopo varie missioni compiute insieme, i due Bounty Killer organizzeranno un piano per entrare a "Candyland", la famigerata piantagione dello spietato proprietario terriero Calvin Candie, in cui potrebbe trovarsi Broomhilda, la moglie che Django ha perso quando entrambi sono stati rivenduti, separatamente, come schiavi...
SCHEDA FILM
Regia: Quentin Tarantino
Attori: Jamie Foxx - Django, Christoph Waltz - Dott. King Schultz, Leonardo DiCaprio - Calvin Candie, Kerry Washington - Broomhilda, Samuel L. Jackson - Stephen, Walton Goggins - Billy Crash, Dennis Christopher - Leonide Moguy, Zoë Bell - Tracker Peg, James Remar - Ace Speck, Don Johnson - Spencer Gordon Bennet, Franco Nero - Amerigo Vassepi, Robert Carradine - Tracker Lex, Bruce Dern - Curtis Carrucan, James Russo - Dicky Speck, M.C. Gainey - Big John Brittle, Tom Savini - Tracker Chaney, Michael Bacall - Smitty Bacall, Laura Cayouette - Lara Lee Candie-Fitzwilly, Tom Wopat - Marshall Gill Tatum, Rex Linn - Tennessee Harry, Gary Grubbs - Bob Gibbs, Lewis Smith - Jinglebells Cody, Ned Bellamy - Wilson, Cooper Huckabee - Roger Brittle, Omar J. Dorsey - Chicken Charlie, Nichole Galicia - Sheba, Edrick Browne - Joshua, Todd Allen - Dollar Bill, Sammi Rotibi - Rodney, Danièle Watts - Coco, Misty Upham - Minnie, Jamal Duff - Tatum, Michael Bowen - Tracker Stew, Jarrod Bunch - Banjo, J.D. Evermore - O.B., John Jarratt - Jano
Soggetto: Quentin Tarantino
Sceneggiatura: Quentin Tarantino
Fotografia: Robert Richardson
Montaggio: Fred Raskin
Scenografia: J. Michael Riva
Arredamento: Leslie A. Pope
Costumi: Sharen Davis
Effetti: Rhythm & Hues
Suono: Wylie Stateman - montaggio
Durata: 165
Colore: C
Genere: WESTERN
Specifiche tecniche: PANAVISION PANAFLEX MILLENNIUM XL2, 4K, 35 MM/D-CINEMA (1:2.35)
Produzione: COLUMBIA PICTURES, THE WEINSTEIN COMPANY
Distribuzione: WARNER BROS. PICTURES ITALIA - DVD E BLU-RAY: SONY PICTURES HOME ENTERTAINMENT
Data uscita: 2013-01-17
TRAILER
NOTE
- UN OMAGGIO AGLI ITALIANI 'SPAGHETTI WESTERN' E IN PARTICOLARE AL PERSONAGGIO DI 'DJANGO', IDEATO NEL 1965 DA SERGIO CORBUCCI, INTERPRETATO DA FRANCO NERO NEL FILM OMONIMO, E CHE HA DATO VITA A UNA SAGA CINEMATOGRAFICA DIRETTA E INTERPRETATA DA AUTORI E ARTISTI VARI. I RUMORS DAVANO INIZIALMENTE WILL SMITH CANDIDATO AL RUOLO DI 'DJANGO'. IN SEGUITO E' STATO AFFIDATO A JAMES FOXX.
- OSCAR 2013 PER: MIGLIOR ATTORE NON PROTAGONISTA (CHRISTOPH WALTZ) E SCENEGGIATURA ORIGINALE. LE ALTRE CANDIDATURE ERANO: MIGLIOR FILM, FOTOGRAFIA E MONTAGGIO SONORO.
- DAVID DI DONATELLO 2013 COME MIGLIOR FILM STRANIERO.
CRITICA
"Non fosse un western sarebbe un romanzo di formazione. Con lo schiavo nero liberato dal cacciatore di taglie bianco che scopre una realtà sconcertante. Visto dalla parte dei dominatori, il mondo dello schiavismo fa ancora più schifo. Provare per credere: il «liberato» Django impara a sparare, a recitare, a soffocare i suoi sentimenti, a mandare a morte i fratelli senza battere ciglio. Una cosa sola non impara. A usare le parole come armi. A quello pensa il tedesco, modi soavi e pistole letali. Perché nel mondo «civilizzato» ci si uccide per un pezzo di carta o per una stretta di mano sbagliata. Tarantino retrodata di un secolo il «buddy movie» bianco/nero. Il vero pulp arriva solo nell'epilogo, lungo e esplosivo. Ma il meglio è nelle due ore precedenti." (Fabio Ferzetti, 'Il Messaggero', 17 gennaio 2013)
"'Django Unchained', cioè scatenato, è esemplare della sensibilità, dello stile, delle doti di Quentin Tarantino. Dopo aver pescato qui e là nella sua conoscenza cinematografica enciclopedica e nella sua passione per il cinema italiano di genere, si sofferma sul western. Cioè il massimo di americano attraverso la lente deformante dell'incursione italiana operata quasi messo secolo fa da Leone e compagni. C'è un modello, il film 'Django' del '66 di Sergio Corbucci con Franco Nero nel ruolo di un reduce nordista vendicatore che fa strage di due intere bande grazie all'arma micidiale che trascina con sé nascosta dentro una bara. Pur partendo da lì e riusando molto materiale (a cominciare dalla ballata di Bacalov) Quentin non solo racconta una storia tutta virata sulla questione dello schiavismo, ma soprattutto (ri)dimostra una capacità di reinvenzione unica. Resta forse un po' banalmente da chiedersi, vista la posizione di primissimo piano del regista nel panorama mondiale di oggi, quanto la dotazione inventiva e spettacolare sia anche una chiave di interpretazione che superi le due ore e mezzo di botti e godimento." (Paolo D'Agostini, 'La Repubblica', 17 gennaio 2013)
"La grande marcia verso l'Ovest, le guerre indiane, la lotta al banditismo, la costruzione della ferrovia transcontinentale: erano questi i motivi al centro dell'epopea Western, un genere che il cinema italiano riportò a nuova vita sotto forma di «Spaghetti», riducendolo a un ironico teatrino di violenza e privandolo di agganci alla Storia. Al western nostrano si ispira Quentin Tarantino, il quale con 'Django Unchained' riprende il personaggio creato da Sergio Corbucci nel 1965, facendone uno schiavo nero, socio in affari di un bizzarro cacciatore di taglie tedesco che lo ha liberato dalle catene. (...) Nell'intero film il tema della schiavitù è trattato con la stessa disinvoltura a stravolgere la storia già mostrata in 'Bastardi senza gloria'. Ma si sa che il regista di 'Pulp Fiction' si preoccupa della filologia solo quando paga pegno alla cinefilia, inanellando dotte citazioni (fra cui l'apparizione in una breve scena del Django originario, Franco Nero) e strizzando l'occhio ai film di samurai come al cinema di Hong Kong. Tuttavia il suo giocare al B Movie è in qualche modo truccato: nella migliore tradizione di Hollywood, Quentin ha impiegato divi di prima fila e sviluppato una sceneggiatura che, se pur si compiace di scivolare nella goliardata e nel sadismo con tanto di vistosi spruzzi di sangue, è un tipico distillato del suo talento di scrittore succoso e divertente. In 'Bastardi senza gloria', film più riuscito, la formula funzionava meglio: però anche qui le quasi tre ore di proiezione scorrono piacevoli; e il cattivo possidente del Sud Leonardo di Caprio e, soprattutto, il tedesco compito di modi e rapido a uccidere cesellato da Christoph Waltz sono memorabili." (Alessandra Levantesi Kezich, 'La Stampa', 17 gennaio 2013)
"(...) siamo nel cuore dell'universo tarantiniano, tra dissertazioni filosofico-linguistiche e spaghetti western, in salsa blaxploitation. Ora, dopo 'Django Unchained' anche i più strenui detrattori di Tarantino dovrebbero dirsi almeno «persuasi» che la sua arte o mestiere sia arrivata a dei livelli ragguardevoli, soprattutto da quando il regista ha deciso di virare il suo solito pastiche nei luoghi di un'irriverente, quanto efficace, riscrittura storica. Pochi registi contemporanei come Tarantino hanno saputo dividere la critica, creando fazioni così opposte da scatenare una specie di guerra santa storico-cinefila. È una diatriba che prosegue dai tempi delle 'lene', tra chi accusa Quentin di solo plagio e chi vede nel suo citazionismo estremo una chiave di assoluta originalità. Nel mezzo non si poteva stare, anzi il mezzo non c'era. Ora i «neo-persuasi» tarantiniani dovranno portare la contesa su un altro campo e dimostrare che il Tarantino neo-storico sta riuscendo a far risaltare gli sfondi su cui poggiano i suoi raffinati origami. Prima 'Bastardi senza gloria' su una pagina immaginata ma mai realizzata della Seconda Guerra Mondiale, ora 'Django Unchained' sul riscatto degli schiavi neri pochi anni prima della Guerra Civile... Tarantino, nella sua maturità cinefila, prendendo spunto dai generi per poi spesso tradirli, sta riscrivendo una sua personale contro-storia impartendo una qualche lezione. Sempre divertendosi." (Dario Zonta, 'L'Unità', 17 gennaio 2013)
"È certo un paradosso quello di affidare la parte del 'buono', nel caso specifico di colui che uccide un crudele e odioso negriero, peraltro senza conti in sospeso con la giustizia, a un cacciatore di taglie del vecchio west; un cinico bianco che, a tu per tu col fuorilegge ricercato, nella classica scelta 'vivo o morto' decide sempre e solo per la seconda opzione. Ma con Quentin Tarantino non c'è da stupirsi: nel suo cinema la morale segue strade particolari, mostrando senso della giustizia piuttosto rozzo. Del resto la stessa idea di voler raccontare lo schiavismo in America attraverso un western, con una storia ambientata alla vigilia della guerra civile, rasenta l'eresia. Eppure il film 'Django Unchained' - nelle sale italiane dal 17 gennaio - tra situazioni surreali per violenza e comicità, vuole mantenere una sua credibilità a dispetto delle forzature; o forse proprio grazie a esse. Ma il risultato non è brillante. Stavolta Tarantino sembra limitarsi a una lettura politicamente scorretta della storia, con molte citazioni, al limite dell'autocelebrazione, ma poca creatività dal punto di vista cinematografico. Non avrebbe potuto esserci nulla di più lontano dalla realtà di un uomo di colore nei panni di un 'bounty hunter' nel pernicioso west, per di più proprio negli Stati in cui la schiavitù era legalizzata. Ma Tarantino va oltre, affiancandogli un cacciatore di taglie bianco; e unire l'improbabile coppia in un'impresa quantomeno originale: liberare la moglie del nero dalle grinfie di un negriero, proprietario della più infame piantagione di cotone nel Mississippi, chiamata Candyland, ma tutt'altro che dolce. Facendone loro malgrado degli eroi, imperfetti, ma per i quali è difficile non provare un briciolo di simpatia, nonostante tutto. La pellicola ha diviso la critica, perché effettivamente non convince del tutto, tuttavia sta avendo un buon successo di pubblico. Il quale sembra apprezzare questa libera rilettura pop dello schiavismo attraverso uno 'spaghetti western', genere amato e rilanciato da Tarantino, che col nome Django, con la grafica e la canzone dei titoli di testa, tributa un omaggio al suo ideale maestro, Sergio Corbucci, offrendo peraltro un cammeo a Franco Nero, l''originale' Django del 1966. Ma l'omaggio al celebre western italiano finisce qui, perché la storia, come detto, è ben diversa. (...) Christoph Waltz spumeggiante ma troppo simile all'ufficiale delle SS di 'Bastardi senza gloria' che gli valse l'Oscar (...). In 'Django Unchained' ci sono tutti gli ingredienti del cinema 'pulp' di Tarantino, di cui si può affermare, viste le quasi tre ore di film, sia un compendio enciclopedico. Soprattutto nell'esagerato profluvio di violenza e sangue, tanto che negli Stati Uniti dalle armi facili la pellicola è stata vietata ai minori di diciassette anni, mentre in Italia arriva senza alcun divieto. Come sempre il regista, maestro nel mescolare i generi ma qui debordante nei rimandi, pone particolare cura ai dialoghi, brillanti ed elaborati a un tempo, la cui ironia pare voler bilanciare furbescamente la brutalità visiva. Alcune situazioni sono fin troppo paradossali, persino grottesche. In sostanza, l'originale tocco di Tarantino, che in altre opere era riuscito ad elevare il suo cinema oltre la parodia, non sempre coglie nel segno. Anche se non mancano scene particolarmente riuscite, come la sequenza degli incappucciati antesignani del ku kux klan, imbranati ben oltre il ridicolo nel tentativo di dare una lezione definitiva alla strana coppia. Insomma, sorridere e provare al contempo a riflettere su cosa è stato. Ma un'operazione simile, peraltro inconsueta per il regista, può non piacere a quanti ritengono oltraggioso scherzare con un tema tanto serio e tragico (alcuni non hanno apprezzato l'avere rispolverato l'offensivo e sprezzante termine 'nigger'). Tuttavia anche questo è un modo per fare i conti con il proprio passato. E in questi mesi sembra che gli Stati Uniti siano incalzati a farlo proprio dal cinema, che presenta altre due opere sul razzismo, pur se con uno sguardo e una sensibilità decisamente diversi: 'Lincoln' di Steven Spielberg, già nelle sale, e 'Twelve Years a Slave' di Steve McQueen, in fase di ultimazione. D'altra parte Tarantino con il precedente film aveva affrontato il delicato tema della Shoah con lo stesso taglio ironico e controcorrente. Ma il risultato complessivo era stato cinematograficamente migliore: 'Bastardi senza gloria' è un capolavoro, mentre 'Django Unchained', pur essendo una buona pellicola (in corsa per cinque premi Oscar, tra cui quello come miglior film), non ha lo stesso fascino, la stessa ricchezza narrativa e creativa che aveva portato il regista a osare riscrivere la Storia, offrendo un finale davvero impensabile. Qui la revisione, parola peraltro eccessiva, è ben più limitata; e la stessa rivincita del protagonista alla fine si risolve solo una piccola vendetta personale, per quanto emblematica. Così come pure l'idea di sovrapporre la storia di Django e signora a quella del mito tedesco di Broomhilde, pur accattivante, non è geniale come quella di un Hitler che muore in un cinema della Parigi occupata per mano di un'ebrea e di un nero." (Gaetano Vallini, 'L'Osservatore Romano', 17 gennaio 2013)
"Pur non eguagliando la solidità narrativa di 'Bastardi senza gloria', 'Django Unchained' di Quentin Tarantino, candidato a cinque Oscar, è un divertente spaghetti western in chiave pulp che come il 'Lincoln' di Spielberg punta l'obiettivo sullo schiavismo. Sanguinario (qualche scena è decisamente dura da digerire), sopra le righe, a volte troppo compiaciuto del proprio stile (...). Più riuscita nella prima parte, la pellicola non potrà che concludersi con una carneficina." (Alessandra De Luca, 'Avvenire', 17 gennaio 2013)
"È impossibile non amare un film che apre con i titoli di testa, ovviamente rossi, sulle note della celebre 'Django' composta da Luis Bacalov e cantata da Rocky Roberts per il film di Sergio Corbucci e si conclude con 'Lo chiamavano Trinità' di Franco Micalizzi mentre il suo eroe, il nuovo Django di Jamie Foxx, è diventato da schiavo barbuto un sofisticato eroe da blaxploitation anni '70 con occhialetto nero che lascia Candyland tra le fiamme. All'interno di questi due brani fondamentali per la storia degli spaghetti western, ci sarà di tutto, dagli omaggi a 'Mandingo' a 'The Legend of Nigger Charley', da 'Minnesota Clay' a 'Charley One-Eye', da 'The Bounty Killer' a 'Lo chiamavano King' da James Brown a Ennio Morricone, ma meno sostanza da spaghetti western di quel che i fan si aspettavano. 'Django Unchained' di Quentin Tarantino, esattamente come 'Inglorious Basterds' usava il maccaroni war movies, si serve di un genere molto amato, lo spaghetti western, e di tutti i suoi miti (...). Coi suoi americani stupidi, razzisti e analfabeti, i neri intelligenti e i tedeschi spiritosi e coltissimi, 'Django Unchained' è molto più profondo di quanto vi diranno. È molto più fuorviante e pieno di sorprese. (...) Inutile dire che gli attori sono tutti meravigliosi. Christoph Waltz domina il film, soprattutto nella prima parte, quella del viaggio, con una intelligenza impressionante. Jamie Foxx cresce piano piano e il suo ruolo diventa sempre più erculeo e poi shaftiano a Candyland. Leonardo Di Caprio e Samuel L. Jackson ci riportano in scena il mondo di Melville e di Poe, da 'Benito Cereno' a 'Gordon Pym', e si permettono grandi entrate e uscite teatrali rubando la scena a Waltz e Foxx. Franco Nero, il Django originale, viene giustamente omaggiato, ma ci sono grandi cammei di attori western e non di grande fascino, da Bruce Dern a Don Stroud, da Robert Carradine a Michael Parks. Tutti vecchi e bellissimi." (Marco Giusti, 'Il Manifesto', 17 gennaio 2013)
"(...) 'Django Unchained' di Quentin Tarantino (...) sulla scia di 'Bastardi senza gloria' fa ancora 'revisionismo': se nell'antecedente Hitler finiva bruciato in un cinema, qui il razzismo stelle & strisce viene sforacchiato dai colpi di un bounty killer nero. Camera alla mano, dunque, Quentin riscrive la Storia e fa la revisione allo schiavismo, mettendo al pubblico ludibrio un Ku Klux Klan ante litteram e facendo esplodere nel kapò Stephen le contraddizioni di ogni privazione della libertà. Forse si tarantineggia troppo per prendere sul serio lo spaghetti-western antirazzista, ma Quentin non scuoce: dialoghi fulminanti, un Sigfrido nero e la mitologia ultrapop." (Federico Pontiggia, 'Il Fatto Quotidiano', 17 gennaio 2013)
"Non è il miglior Tarantino di sempre ma un suo film, pur discreto come questo, ne vale quanto tre di certi autori che sono di culto solo per alcuni recensori. Per questo, facciamo fatica a capire e perdonare, al Tarantino di 'Django Unchained', il tentativo, spesso evidente, di voler compiacere quella medesima critica, snaturando, in parte, quel suo modo «nerd» di fare cinema. Gli eccessi nei dialoghi (spesso estenuanti per lunghezza), soprattutto nelle scene dilatate con Di Caprio, non sembrano appartenere allo stesso autore de 'Le Iene' o 'Pulp Fiction'. Spezzano il classico ritmo tarantiniano ed affossano lo spettatore che si ritrova, in certi momenti, a guardare l'orologio. Peccato, perché il Tarantino sceneggiatore ha sempre fatto la differenza e anche in questo caso ha imbastito un signor lavoro camuffando da omaggio allo «spaghetti western» (con cameo del vecchio Django, Franco Nero) un film che, in realtà, prende di petto razzismo e schiavismo, senza banalizzarli. (...) Sia chiaro che 'Django Unchained' resta, comunque, un signor film, fin dalle scene iniziali che ricordano i Coen. Grazie ad un superbo cast nel quale spiccano Jamie Foxx (ma come hanno fatto a non candidarlo agli Oscar?) e Christoph Waltz (per fortuna, lui sì), sorretti da un Samuel L. Jackson assolutamente perfetto e da un Di Caprio che si muove a suo agio nei panni del villain." (Maurizio Acerbi, 'Il Giornale', 17 gennaio 2013)
"Piacerà, credo a quasi tutti. Il film ha quarantamila difetti, ma fanno tutti parte del gioco (in Tarantino la cinefilia, il pellegrinaggio ai luoghi sacri del cinema d'azione sono inevitabili, se non ci casca non è più Quentin). Innanzi tutto vorrei rassicurare lo spettatore domenicale. Il più onesto, il più scevro da pregiudizi (soprattutto a favore). Lo spettatore che non volle unirsi al coro unamime di lodi che accompagnò l'uscita di 'Bastardi senza gloria'. Che aveva sempre per il domenicale almeno mezz'ora di troppo, un inserto parigino che conciliava decisamente il sonno. Bene, 'Django' è parimenti lungo (due ore e venti) ma non ha cedimenti, non sei mai indotto alla pausa in toilette. E non puoi essere indotto perché specie nella seconda parte 'Django' è claustrofobo, ossessivo, come nell'opera prima di Quentin, 'Le iene'. Per essere un western, ovvero il trionfo del cinema all'aria aperta, l''Unchained' è dramma da camera. (...) I manierismi possono mandare in brodo di giuggiole i cinephiles ma disturbano lo spettatore di retto sentire. Che però sarà compensato debitamente del disturbo da alcune indimenticabili «tirate» tarantiniane." (Giorgio Carbone, 'Libero', 17 gennaio 2013)