Robert Rossen
NEW YORK, (Usa), 16 marzo, 1908
HOLLYWOOD, California, (USA), 18 febbraio, 1966
Regista e sceneggiatore. Nasce in una famiglia di immigrati russi, poveri e di religione ebraica. Riesce a studiare all'Università di New York, si avvicina al teatro e, tra il '29 e il '36, cura regie di commedie e di un testo antinazista. Intanto scrive una farsa ('The Body Beautiful') che lo fa conoscere a Hollywood dove la Warner Bros. lo mette sotto contratto come sceneggiatore. In quegli anni si occupa soprattutto di film gialli, anche se con contenuti sociali come 'Vendetta', di Mervyn LeRoy, sulla manipolazione della giustizia, 'Le cinque schiave', di Lloyd Bacon, sullo sfruttamento delle ragazze che lavorano nei locali notturni, 'I ruggenti anni venti', di Roul Walsh, un tentativo di spiegare le origini del gangsterismo durante gli anni del proibizionismo, 'La bandiera sventola ancora', di Lewis Milestone, la storia di resistenza al nazismo da parte di un piccolo paese di pescatori in Norvegia. Nel 1947 passa alla regia con 'A sangue freddo', ancora un poliziesco ma non di gran valore. Nello stesso anno ha più successo il film sul mondo del pugilato che lui ben conosce per averlo frequentato da ragazzo, 'Anima e corpo'. Questo film mostra già quel realismo sociale che all'epoca del maccartismo lo fa entrare nel mirino della cosiddetta 'Commissione per le attività antiamericane' anche perché, nonostante lui lo neghi quando nel 1947 è chiamato a deporre, risulta essere stato iscritto fino al 1945 al partito comunista. Nel 1949 la sua carriera registica ha la svolta decisiva con 'Tutti gli uomini del re', opera di denuncia, in forma melodrammatica, delle malefatte dei politici, che vince tre Oscar: miglior film, miglior attore protagonista e miglior attrice non protagonista e ottiene anche altre quattro candidature. Nel 1951 dirige un film non del tutto riuscito sulla paura che attanaglia un torero dopo un incidente nell'arena, 'Fiesta d'amore e morte', ed è costretto al silenzio finché nel 1953 si presenta alla commissione, dichiara di essere stato comunista e denuncia una cinquantina di colleghi. E' costretto quindi ad allontanarsi dal suo paese, dove peraltro non lo fanno più lavorare, e passa a dirigere film dove si privilegia l'aspetto psicologico su quello sociale. Nel 1954 Dino De Laurentiis lo chiama In Italia per confezionare un film su misura per la giovane moglie Silvana Mangano. Ne scaturisce un film ,'Mambo', che risulta mediocre ma che ha al suo interno una scena di ballo della protagonista che diventa un cult. Realizza nel 1956 'Alessandro il Grande' in cui si tratteggia per la prima volta un ritratto psicologico del grande condottiero. Poi, dopo 'Cordura' (1959), un western che gli serve per parlare dell'eroismo di chi affronta e sopporta la vita quotidiana arrivano i suoi film migliori, 'Lo spaccone' nel 1961 in cui giganteggia Paul Newman, un giocatore di biliardo nel clima pesante degli anni Quaranta, e nel 1964 'Lilith' in cui Jean Seberg ci mostra come l'amore possa condurre alla follia. La sua ricerca espressiva, passata dai temi sociali all'approfondimento psicologico arriva anche alla ricerca della forma, attraverso l'aiuto del grande operatore tedesco Eugen Schufftan - autore della fotografia di 'Metropolis' (1926) di Lang, che con Rossen vince l'Oscar per 'Lo spaccone'. Le nevrosi che il regista vuole raccontare vengono mostrate anche grazie all'atmosfera che il grande direttore della fotografia è in grado di creare. La forma diviene sostanza della narrazione, il ciclo si chiude, e due anni più Rossen muore a Hollywood prima di aver compiuto cinquantotto anni.