Arthur Penn
PHILADELPHIA, Pennsylvania (USA), 27 settembre, 1922
NEW YORK USA), 28 settembre, 2010
Regista. Figlio di immigrati ebreo-russi, suo padre Harry era un orologiaio e sua madre, Sonia Greenberg, un'infermiera. Fratello minore del celebre fotografo Irving Penn, Arthur già durante gli anni delle scuole superiori ha un primo approccio con il mondo dello spettacolo. La sua passione per l'arte si consolida quando, nel 1942, viene chiamato alle armi (ha combattuto in Europa durante la II Guerra Mondiale) dove forma un piccolo gruppo teatrale. Dopo la guerra si ferma due anni in Italia - a Perugia e a Firenze - per studiare storia dell'arte. Tornato in patria, trova lavoro alla Nbc diventando ben presto un pioniere della 'live television' (fenomeno in voga nella tv americana degli anni '50 in cui i film e gli sceneggiati venivano ripresi dal vivo), che si rivela per lui un'ottima palestra per affinare le sue tecniche. Ed è proprio questa esperienza che influenzerà la sua cifra stilistica, basata soprattutto sull'importanza del lavoro attoriale, e che lo porterà a diventare uno dei più grandi insegnanti di recitazione dell'Actor's Studio di New York (di cui diverrà negli anni anche direttore). La sua avventura televisiva si conclude alla fine degli anni Cinquanta e a partire dal 1958 inizia a dedicarsi al cinema, con il suo primo lungometraggio "Furia selvaggia", adattamento di un testo per la televisione firmato da Gore Vidal. Il film è una rilettura profondamente psicoanalitica del personaggio di Billy the Kid, interpretato da un giovane Paul Newman cui il regista chiederà una recitazione molto fisica - per alcuni anche fin troppo sopra le righe - ma che permetterà di trasmettere le insicurezze caratteriali ed emotive del protagonista su cui è costruita tutta la storia. Sin dal suo esordio, Penn comincia a destrutturare i generi classici del cinema americano piegandoli ad una sensibilità moderna in grado di far emergere le contraddizioni sociali e culturali della società americana. Nascono così piccoli capolavori come "Anna dei miracoli" (1962), che conferma la sua grande sensibilità nella direzione degli attori (sarà infatti candidato all'Oscar per la miglior regia, mentre Anne Bancroft e Patty Duke otterranno il premio come migliori attrici, protagonista e non), ma soprattutto "Gangster Story" (1967) e "Piccolo grande uomo" (1970). Nel primo, i bellissimi Faye Dunaway e Warren Beatty (già diretto da Penn due anni prima nel film "Mickey One", presentato al Festival di Venezia ma troppo debitore alla Nouvelle Vague francese per essere apprezzato da pubblico e critica statunitensi) danno vita sullo schermo alla famosa coppia di criminali sexy e maledetti degli anni Trenta, esprimendo con forza la rabbia e la solitudine di una generazione che non si riconosce più nei valori imposti dalla società. Il film verrà candidato a ben 10 Oscar (tra cui le nomination per i due protagonisti e una per Gene Hackman, che sarà protagonista nel 1975 di un altro dei capolavori del regista, il noir "Bersaglio di notte", e dieci anni dopo del meno fortunato "Target - scuola omicidi"), ma ne porterà a casa solo due: per la miglior attrice non protagonista, Estelle Parsons, e la miglior fotografia. Con "Piccolo grande uomo", interpretato da un 'gigantesco' e convincente Dustin Hoffman, il regista firma la sua opera più libera e ambiziosa mescolando stili e generi per narrare la ricerca d'identità di un uomo in bilico tra il mondo dei bianchi e quello dei nativi Cheyenne, un'identità che con ogni probabilità non troverà mai. Tuttavia, Newman, Bancroft, Dunaway, Beatty, Hackman e Hoffman non sono i soli grandi artisti che passeranno davanti alla macchina da presa per Penn. All'elenco vanno aggiunti Marlon Brando, Jane Fonda, Robert Duvall e un giovanissimo Robert Redford, protagonisti nel 1966 del drammatico "La caccia", un film di denuncia sul razzismo latente dell'America di provincia, con chiari riferimenti al maccartismo. Dieci anni dopo Marlon Brando sarà protagonista, con Jack Nicholson, anche di "Missouri": poco fortunato western crepuscolare in cui un povero ladro di cavalli (Nicholson) è inseguito da un funambolico killer (Brando) che gli dà la caccia. Sul set Penn lascia Brando a briglia sciolta, permettendogli di mettere in pratica tutte le idee che aveva in mente per rendere grottesco il suo personaggio, contrapponendolo alla quasi totale immobilità di Nicholson, mai così misurato e intenso. Al palmares del regista vanno aggiunti anche un'altra candidatura all'Oscar per la regia di "Alice's Restaurant" (1969, interpretato da Arlo Guthrie - figlio del celebre musicista e cantautore Woody Guthrie - in cui continua a raccontare i dubbi che attanagliano le giovani generazioni) e l'Orso d'oro alla carriera consegnatoli nel 2007 al 57mo Festival di Berlino, che nell'occasione gli ha dedicato anche una retrospettiva. Messo da parte da un'industria che pensa troppo ai guadagni per concedere le libertà di cui ha bisogno, nell'ultimo ventennio della sua esistenza gira solo altre sei opere tra cui il suo film-testamento: "Gli amici di Georgia" (1981) che, commercialmente sfortunatissimo, narra la storia di un'amicizia che copre tutto il decennio degli anni '60, un canto dolente sulle illusioni di una generazione. Nel tempo, alla regia cinematografica preferisce alternare l'insegnamento all'Actor's Studio e la regia di produzioni teatrali off Broadway. Il teatro in realtà è stato sempre presente nella sua vita e alcune delle sue messe in scena gli sono valse la candidatura al prestigioso Tony Award (1958 e 1961), vinto nel 1960 con la versione teatrale di quello stesso "Anna dei miracoli" - interpretato sul palcoscenico dalle stesse Bancroft e Duke - che porterà sul grande schermo due anni più tardi. Cineasta sommerso, più a suo agio nei teatri e nei salotti di New York che negli studios di Los Angeles, in quarant'anni di carriera ha realizzato solo quindici film, ma si è rivelato un genio assoluto della settima arte che, soprattutto negli anni '60 e '70 ha aperto la strada a una generazione di registi - da Scorsese a Spielberg e Lucas - insegnando loro come essere originali e indipendenti senza per questo realizzare produzioni marginali o inutilmente anticonformiste. Affetto da tempo dalla leucemia, si è spento il giorno dopo del suo 88mo compleanno per un attacco cardiaco. Lascia la moglie Peggy Maurer, sposata nel 1955 e da cui ha avuto la figlia Molly e il figlio Matthew, che lavorano nella produzione cinematografica.