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C'è stato un momento in cui anche il giornalismo di inchiesta americano ha abdicato pressato da intrecci economici, poteri politici e dai meccanismi di replicazione e dispersione informativa tipici della rete. E quel momento viene raccontato molto bene da Truth, titolo d'apertura alla Festa di Roma, che va a rimpolpare il già nutrito filone dei newsroom-movies.
Il film ricostruisce il "Memogate" del 2004, lo scandalo che travolse la CBS News e alcuni dei suoi giornalisti di punta, in particolare l'agguerrita Mary Mapes e il veterano Dan Rather, volto della trasmissione di inchiesta 60 Minutes. Due professionisti dalla carriera brillante e immacolata prima di andare a sbattere contro un caso di presunti favori accordati a George W. Bush (all'epoca dell'inchiesta inquilino alla Casa Bianca) durante il servizio militare prestato nel '68, quando riuscì ad entrare nell'aeronautica della Guardia Nazionale evitando di essere inviato in Vietnam.
Ebbene, lo scoop che la Mapes e il suo mentore Dan Rather credevano di aver fatto si rivelerà un boomerang non appena saranno messe in dubbio la solidità delle prove e l'affidabilità delle fonti.
E' interessante il modo in cui lo script di James Vanderbilt (già sceneggiatore di Zodiac e qui al debutto in regia) sposta di continuo il fuoco prospettico dal problema, riproducendo di fatto il modo con cui il moderno sistema informativo opera un sistematico, non necessariamente volontario, depistaggio. Perciò l'operazione, nobile e impeccabilmente confezionata, possiede il valore aggiunto dello spaccato d'epoca, riuscendo a intercettare un fondamentale momento di trasformazione nel modo di fare giornalismo (la corsa allo scandalo, l'impari e incontrollata concorrenza dei blogger, il ricorso dei grandi broadcaster ai famigerati service esterni per le inchieste, il pensionamento della vecchia guardia).
Per trasparenza di messa in scena e qualità degli interpreti (qui ci sono due fuoriclasse come Cate Blanchett e Robert Redford) è il gemello disperato di Spotlight di McCarthy, che però era più asciutto dal punto di vista retorico e più rigoroso da quello morale. Appare esagerato l'endorsement di Vanderbilt a favore dei due protagonisti, elevati addirittura al rango di eroi nell'improbabile e del tutto assolutorio finale in ralenti. Dimenticando che la lezione del grande giornalismo americano non è mai stata quella di sfidare il potere senza paura. Ma di presentarsi alla battaglia per la verità con le armi giuste: fonti certe e documenti verificati.