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Minnesota, anni ’90. Un caso di abusi sessuali a danno di una minore (Emma Watson) si allarga e diventa un’indagine sull’esistenza di una presunta setta devota al diavolo e dedita a rituali particolarmente efferati. Se ne occupano un detective (Ethan Hawke), uno psicologo (David Thewlis) e un prete (Lothaire Bluteau).
Il ritorno di Alejandro Amenàbar all’horror è solo apparente: atmosfere e look visuale rimandano al cinema degli anni ’70, epoca a cui ci riporta anche la pista demoniaca inseguita dal regista spagnola. Ma è una pista da prendere con le pinze così come bisogna fare attenzione a non scambiare Regression per un horror old style. Ė invece un’operazione smaliziata e moderna, mossa da un consapevole progetto antifrastico: ad Amenàbar non interessano gli effetti ma le cause, non che cosa fa paura ma perché facciamo di tutto per provarla.
In questo modo è come se il film ci lasciasse guardare dentro i suoi segreti, smontando quello stesso meccanismo della suspense che nella prima parte sembra operare regolarmente. Con più ironia sarebbe piaciuto a Wes Craven, anche se per entrambi i cliché (letteralmente) si sprecano.
Approccio inusuale, che merita considerazione. Per le palpitazioni però vedere altro.