PHOTO
Nebbia in agosto
Basato sull’opera omonima letteraria, Nebbia in agosto è incentrato sul brutale metodo di eliminazione promosso come ‘eutanasia’, poi adottato a breve distanza nei campi di sterminio. Prime vittime dell’ ‘eutanasia’ nazista furono i bambini portatori di qualunque forma di disabilità. Oltre 5000, tra piccoli e adolescenti morirono negli ospedali psichiatrici, divenuti sedi dell’eliminazione decentrata. Tra loro anche Ernst Lossa, un ragazzino orfano di madre e definito ‘ineducabile’, perfettamente interpretato da Ivo Pietzcker.
La produzione, desiderosa di trasmettere al film un approccio realistico, si è avvalsa della consulenza professionale del Prof. Michael Von Cranach, che ha suggerito alla regia cenni storici e passaggi fondamentali allo sviluppo della trama, sì da trasmettere al film uno stile quasi documentaristico ma senza tralasciare la linea poetica e romanzata. Kei Wessel dirige con maestria una vicenda tragica, avvalendosi soltanto di pochi spazi e di una scenografia impeccabile. La fotografia, assolutamente in simbiosi con lo sviluppo della trama, in un crescendo di atmosfere tetre, drammatiche e cimiteriali, consegna al lavoro ancor più realismo. La cronologia storica non viene mai tralasciata, inserendo elementi, dialoghi e sequenze che illustrano in maniera dettagliata l’evolversi dell’idealismo nazionalsocialista e il tragico avvento di quello che viene definito il ‘grande motore’: ovvero l’eliminazione di massa.
Un film che racconta uno spaccato poco (o per niente) affrontato: ovvero l’avvento dell’eutanasia, concetto assolutamente distorto di quella che oggi in molti Paesi civili e democratici è una volontaria richiesta da parte del paziente. Kei Wessel ci conduce nei tetri corridoi dell’Ospedale Psichiatrico di Kaufbeuren attraverso una molteplice soggettiva: lo spettatore vive il drammatico evento attraverso gli occhi dei piccoli pazienti, della spietata infermiera Kiefer (Henriette Confurius), di una sensibile e provata suor Sophia (Fritzi Haberlandt), dello scienziato prestato al braccio armato del nazismo dott. Veithausen (Sebastian Koch). Senza necessariamente ricorrere a un’estetica sanguinaria e violenta, Wessel riesce a descrivere meticolosamente la crudeltà e il metodo disumano introdotto da Hitler. Un film che certamente risulta necessario nel sottogenere, ma più adatto al piccolo schermo che alle sale.