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1943, un giovane ufficiale inglese, Norman Lewis, entra a Napoli con la Quinata Armata statunitense. La città è distrutta, Lewis ha l’occhio buono e l’empatia giusta per mettersi in sintonia e prenderne nota: su un taccuino fissa eventi, fatti, sensazioni, riflessioni di un anno di permanenza nella città partenopea, Naples ’44. Un capolavoro della memorialistica, edito da Adelphi, che approda sul grande schermo per la regia di Francesco Patierno, che dopo La guerra dei vulcani conferma talento e dimestichezza per il genere docufiction.
Naples ’44 dà rilettura attenta e originale, fedele ma idiosincratica del memoir, interpolando al materiale di archivio (collezionisti privati, Imperial War Museum) le riprese ex novo di un immaginario Lewis, ormai divenuto affermato scrittore, che dopo la guerra torna sui luoghi osservati e descritti. Surplus di senso, il racconto è inframmezzato da inserti cinematografici (Totò, in cui si identifica l’amico di Lewis Lattarullo nonché il fantomatico “zio di Roma”, e Mastroianni, ovvero il Curzio Malaparte de La pelle) che dialogano magistralmente con il testo di Lewis, narrato dalla voce di Benedict Cumberbatch.
Bombardamenti, miseria, fame, gatti impiattati e gite fuoriporta a scopo alimentare, sfollamenti per la paura di trappole dinamitarde tedesche, prostituzione, il mare, il Vesuvio, gli Alleati, gli scugnizzi dagli occhi intelligenti e intellettuali, e Lewis che tutto coglie molto afferra, lasciando a Napoli uno specchio riflesso riconoscente, puntuto, financo innamorato. Patierno non gli è da meno, manipolandolo per amore. Di verità audiovisiva. Naples ’44 è memoria storica e memoria viva: non solo memoir, ma stream of consciousness antropologico, perché Napule è.