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Il successo esagerato di Magic Mike - divenuto vero e proprio fenomeno di culto grazie alla comunità gay della West Coast e al suo lavoro di rimbalzo su quella più vicina a noi - lasciava intendere che il sequel presto o tardi sarebbe arrivato. Nessuno avrebbe mai immaginato però un film straordinariamente "fru fru" come Magic Mike XXL, al cui cospetto il precedente sembra un dolente dramma morale e il precursore Full Monty un'opera apocrifa di Eugene O'Neill.
Non c'è una trama stavolta a tenere insieme i pezzi di bravura dei cinque stripper - sì, cinque: Matthew "Dallas" McCounaghey ha preso altre strade e anche Alex "Kid" Pettyfer non abita più qui - ma solo uno scombiccherato via vai di situazioni che si dipana attraverso tre stati (la Florida, la Georgia e la Carolina del Sud), tre automezzi e almeno tre comprimarie (Amber Heard, Jada Pinkett Smith ed Andie McDowell).
Tutto per arrivare a una convention di spogliarellisti a Myrtle Beach che sancirà l'ultima volta insieme di quel che resta dei Re di Tampa: Channing Tatum, Matt Bomer, Joe Manganiello, Kavin Nash e Adam Rodriguez.
A differenza del finto, pruriginoso e moralistico film diretto da Steven Soderbergh, XXL di Gregory Jacobs è una sana e consapevole libidine, che non cerca scuse e si offre al pubblico per quel che è (e per ciò che lo spettatore vuole): coreografie divertenti, costumi improbabili e amplessi sagomati nell'aria, vero pezzo forte di Mike & Co.
Ovviamente di sesso vero e di autentica trasgressione neanche a parlarne, ma almeno ci viene risparmiata l'ipocrita tirata su quanto sia sudicio questo mondo dove circolano impunemente corpi, denaro e droga come in un una Disneyland per soli adulti.
A differenza del precedente poi gli stripper sono i veri protagonisti e Channing Tatum, liberato dalle ansie puritane della sceneggiatura, può finalmente rispolverare senza freni il proprio passato da stripper.
Certo, dopo una mezz'ora il film s'arena, si ripete, si straccia. I personaggi saranno pure buontemponi, ma restano decerebrati a due dimensioni. La storia non ha né capo né coda. La noia è lì. Ma questa versione extralarge dei pochi (tormentati) strip del primo Magic Mike ha se non altro il merito dell'onestà e il pregio degli imbecilli: essere sintonizzati sul proprio tempo meglio di chiunque altro.