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Il trentenne giornalista P. (Reggiani) è innamorato senza speranza dell’amica Margherita (Gensini), che calpesta i suoi sentimenti andando a letto con il coinquilino: l’incontro con la bella Sofia (Giovanelli) sembra l’inizio di una rivalsa, ma diventerà letteralmente un incubo…
Saverio Di Biagio porta su grande schermo il romanzo di Francesco Dimitri (anche sceneggiatore) e con La ragazza dei miei sogni torna alla regia dopo cinque anni di distanza, ma possiamo parlare a tutti gli effetti di un secondo esordio: dal microdramma sociale di borgata di Qualche nuvola all’urban fantasy c’è una distanza ben più evidente di quella - temporale - tra le due pellicole.
Ad accomunarle, forse, la visione disincantata dell’amore, un sentimento davvero troppo difficile da vivere, se non per pochi istanti. In questo senso, rispetto agli equivoci (e ai tradimenti) di Qualche nuvola, la svolta fantasy della trama va letta come metafora esistenziale: l’amore è fisicamente impossibile, letteralmente un fantasma (o un demone) da inseguire senza poterlo comprendere. Qualcosa che emerge nella seconda metà del film, ricca di sequenze sospese e inquietanti (su tutte la festa al palazzo, con annesso cameo di Remo Girone) e di pedinamenti frustranti e senza successo, decisamente più riuscita rispetto a un inizio comedy più incerto nel ritmo e meno convincente nel complesso. Peccato per un finale sbrigativo, che forse spiazza lo spettatore anziché risolvere l’intreccio, dopo aver meritoriamente spinto sul pedale dell’esoterico e messo molta carne sul fuoco (da Aleister Crowley al mito del Golem, il tutto “divulgato” da un Vaporidis inedito, che spesso ruba la scena al protagonista Reggiani).
Va detto come Di Biagio, circondato dai collaboratori di sempre (i fidi Vaporidis e Reggiani, Marco Spoletini al montaggio, Francesco Di Giacomo alla fotografia) evita coraggiosamente stereotipi (l’ambientazione inedita in una Bari spettrale), effettacci alla Dario Argento ed espedienti narrativi facili, anche quando avrebbero potuto far comodo. Ma per un secondo esordio serve coraggio e incoscienza, ancor più che per il primo; ed è difficile non essere indulgenti verso un fantasy tutto italiano, non del tutto compiuto ma piccolo capostipite (si spera) di analoghi esperimenti in futuro.