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La ragazza che giocava con il fuoco
Meno male che Lisbeth c'é. Senza di lei, La Ragazza che giocava con il fuoco avrebbe incenerito solo la sopportazione del pubblico. E fortuna che Lisbeth sia ancora Noomi Rapace, perché nessun'altra crediamo sarebbe riuscita a divorare il film così, ghermendo ogni scena con primitiva brutalità, conturbante malessere, losca fascinazione. L'animale rantola però. Schiacciata da un macchina narrativa e produttiva non all'altezza. Il secondo film tratto dalla Millennium Trilogy di Stieg Larsson, é come Uomini che odiano le donne svuotato di appeal. La storia - l'hacker androgina stavolta si trova implicata in un caso di triplice omicidio, che toccherà al solerte Blomkvist (Michael Nyqvist) risolvere - è una specie di preambolo posticipato, dove conta di più scavare nel passato di Lisbeth che nella melma della società svedese. E dire che proprio l'ambientazione era stata il punto di forza del capostipite, con la sue atmosfere mortifere e i personaggi perversi, unitamente all'utilizzo delle immagini in chiave investigativa e metalinguistica. Qui invece - con Alfredson subentrato ad Oplev dietro la macchina da presa - l'azione annaspa dietro rivelazioni e incartamenti, i cattivi sono ridicoli, certi passaggi affrettati, la confezione è di stampo televisivo. Ma il bilancio finale sorprendente: 3 cadaveri, due zombie (scoprirete chi…) e un unico maldestro delitto. Perpetrato in cabina di regia.