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La meccanica delle ombre
Francia, Parigi. Il signor Duval è un grigio assicuratore di mezza età con problemi di alcolismo che si è visto licenziare a causa di un esubero aziendale. Un giorno, un uomo misterioso che sembra lavorare per un’agenzia di sorveglianza governativa, gli offre un incarico particolare: dovrà trascrivere, parola per parola, i contenuti di alcune intercettazioni telefoniche a danno di personaggi compromessi, a vario titolo, col potere. Duval accetta, ma per lui è solo l’inizio di un incubo in cui, tra paranoia e minacce tangibili, la realtà comincia a frantumarsi e i cui orizzonti si fanno sempre più sfuggenti e di difficile interpretazione.
La meccanica delle ombre è un thriller classico, solido, ben scritto e diretto dal regista Thomas Kruithof. Mescolando sapientemente le atmosfere raggelanti del noir francese con il meccanismo hitchcockiano dell’uomo qualunque inghiottito da un intrigo internazionale che rischia di schiacciarlo, il film riflette, come in uno specchio deformante, l’alienazione contemporanea e la mania persecutoria di certa pubblicistica che dipinge una società perennemente spiata da occhi invisibili e agitata da movimenti para-istituzionali con derive eversive.
In un’opera di onesto artigianato come la nostra, tuttavia, non mancano le pecche. Se, infatti, a impersonare Duval ci pensa un interprete di razza come François Cluzet, la sua controparte femminile, il personaggio della fragile alcolista Sara (la nostra Alba Rohrwacher), è una figura appena sbozzata dalla sceneggiatura, mentre il finale, con punte action, appare affrettato e in controtendenza rispetto alla tenuta generale del film, incentrato su silenzi ed ellissi.