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Julieta
Pedro Almodóvar è un grande regista di melodrammi. Forse il più grande. I suoi film sono vasi di pandora che sprigionano forze primordiali, che stordiscono lo spettatore, lo risucchiano in un’altra dimensione. Quella del suo cinema, in cui la sospensione dell’incredulità va a braccetto con la fatalità. Che ti fa perdere le persone amate e ritrovare qualcun altro: ti fa sognare che un uomo incontrato in treno possa cambiare il tuo destino. Chi lo ama, sa che i suoi personaggi vibrano di vita propria, ti accompagnano per strada ed entrano in casa con te. Ti ritrovi a pensare a loro, come alla Jasmine di Woody Allen o Rossella di Via col vento. Le sue protagoniste sono abbaglianti: Adriana Ugarte prima ed Emma Suarez dopo, due attrici diverse per interpretare Julieta, in uscita nelle sale il 26 maggio e in concorso al festival di Cannes, in cui Almodóvar ritrova l’universo femminile da lui tanto amato, con nuova sensibilità. Forse perché c’è il dramma, senza il melò, quello di una madre prima di tutto. Questo, però, lo scopriremo solo dopo. Ma fin dall’inizio s’intuisce un mistero: un primo piano di un tessuto rosso, che nasconde un cuore che batte: quello di Julieta.
La seconda immagine mostra una scultura in terracotta, che raffigura un uomo nudo seduto. Julieta appoggia la figura in una scatola di cartone e con attenzione la avvolge in un involucro protettivo. Sembra una madre intenta a vestire una sua creatura. E’ il 2016. La sua storia si svela poco a poco, sta per partire, lasciare definitivamente Madrid per il Portogallo con il suo compagno, Lorenzo. Fanno un brindisi al futuro che li aspetta, due persone mature consapevoli che invecchieranno insieme. Poi, il colpo di scena: Julieta incontra una ragazza, Bea, l’ex migliore amica della figlia Antia, che non vede da dodici anni. Impazzita per una ferita che credeva ormai rimarginata, Julieta torna nell’appartamento e decide di non partire più, senza nulla spiegare a Lorenzo. Si trasferisce nello stesso palazzo in cui viveva anni fa, e che aveva affittato per l’insistenza di Antia e Bea che volevano essere vicine. E scrive un diario, una lunga confessione, ad Antia. Tutto ciò che non le ha detto dal momento del suo concepimento. Dell’incontro con il padre su un treno, quando erano giovani e belli. Una notte di passione che li fa innamorare e ritrovare a distanza di mesi. Lui pescatore, con una finestra sul mare, lei incinta di Antia. E lì vivranno, anni pieni di felicità…
Le storie non si raccontano, si vivono, perché la suspense fa parte della vita e Almodóvar attinge a piene mani da essa con colori forti, o neutri come il bianco. Quando Julieta decide di dare un taglio drastico, cambia casa. I mobili e le pareti rappresentano il suo stato d’animo in ogni fase della vita. Tutto, dalla musica di Alberto Iglesias, alla sceneggiatura, sono curate con precisione quasi ossessiva. Ogni oggetto ha un significato per Almodóvar, nel tentativo doloroso di comprendere, o almeno accettare, il mistero insondabile che ci fa abbondonare le persone che amiamo.