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Germania, 1918. Anna (Paul Beer) si reca tutti i giorni sulla tomba del fidanzato Frantz, morto al fronte. Ma una mattina s'imbatte in Adrien (Pierre Niney), un giovane e misterioso francese che sta pregando davanti alla stessa lapide. Chi è quest'uomo e quali sono i suoi rapporti con Frantz?
L'uomo che visse due volte, anzi tre. Ha evidenti ascendenze hitchcockiane questo mélo in b/n diretto e interpretato magistralmente (magnifica Paula Beer), dove una volta di più amore e morte si corteggiano, si inseguono, pericolosamente si confondono. Necrofilia, feticismo, fantasmi del desiderio, ovvero l'abc del genere, infettano questa variazione sul tema tratta da una pièce di Rostand - da cui già Lubitsch aveva ricavato Broken Lullaby - ambientata nel primo dopoguerra (sposando dunque anche la retorica del fidanzato/figlio morto al fronte) senza però risolverla del tutto.
La maturazione di Ozon come autore è proprio in questo scarto tra l'impeccabile rilettura filologica e l'intima necessità emotiva che lo porta da un lato, e non di rado con crudeltà, a scandagliare l'animo della sua sfortunata eroina (fino a celebrarne, col colore, la rinascita) e dall'altro a ribaltare - ultimo e inverante atto nella meccanica della sostituzione che regola tanto il cuore del personaggio quanto quello del film - il valore negativo della fascinazione per il simulacro quale affettazione patologica. Certe bugie invece, come le bugie del cinema e dell'arte (così si spiega il finale davanti al "suicidio" di Manet), rendono meno amara la verità. Splendida fotografia di Pascal Marti.