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Fiore
"Fermo, damme er telefono". Daphne (Scoccia), coltello alla mano, alza qualche soldo così, rubando smartphone sotto la metro. Ma la "pacchia" non dura molto: arrestata, viene portata nel carcere minorile. E qui, poco a poco, fa la conoscenza di Josh (Algeri), giovane rapinatore anche lui. Due stabili separati, maschi e femmine non si possono incontrare: la relazione tra i due si alimenta così solo attraverso le occhiate da una cella all'altra, brevi conversazioni dietro le sbarre e lettere clandestine.
Ha un bello sguardo Claudio Giovannesi, che dopo Alì ha gli occhi azzurri e Wolf prosegue nel suo percorso debitore dei vari Pasolini, Truffaut e Dardenne per raccontare quanto, oltre alla libertà, il carcere diventi anche privazione di altro.
Segue da vicinissimo questa ragazzina (l'esordiente, bravissima Daphne Scoccia, scoperta dal regista in un ristorante di Monteverde a Roma), non ha bisogno di chissà quali preamboli per introdurla allo spettatore che, solo più avanti, avrà modo di comprenderne il background, ovvero quando il padre (Valerio Mastandrea), da poco uscito di galera dopo qualche anno, viene a trovarla in prigione.
Prison-movie e teen-movie convivono in maniera anomala e a tratti violenta: tensioni, frustrazioni, moti dell'animo e sbalzi d'amore diventano il basso continuo attraverso cui Giovannesi, bravo a non cedere mai alle tentazioni dell'enfasi, traccia le sonorità vive di un'esistenza turbolenta ma non necessariamente priva di speranza. Solo verso il finale, forse, rischia di confondersi un po', dubbioso sulla strada da intraprendere.
Ma è un peccato veniale, che nulla toglie ad un film "vero", nell'accezione più sincera del termine. Capace di regalare allo spettatore le stesse boccate d'aria fresca che Daphne cattura a pieni polmoni quando, in macchina, raggiunge il mare con il padre e la nuova famiglia di lui. Mare che, a differenza di quanto avvenne con il Jean-Pierre Léaud de I 400 colpi, non limiterà l'incedere della ragazza. Ma sarà anticamera di una fuga tanto incosciente quanto liberatoria, mossa dalla forza di un sentimento capace di infrangere ogni legge.