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Tre storie che si intrecciano sullo sfondo di Corviale, detto Il Serpentone, un quartiere dell'estrema periferia di Roma. Marco (Maurizio Tesei) spaccia cocaina sulla panchina di un parco, tre amici (Michele Botrugno, Fabio Gomiero, Germano Gentile) passano le loro giornate bighellonando tra giri in motorino e bravate nel tentativo di ammazzare la noia, Sonia (Ughetta D'Onorascenzo) studia e lavora in una bisca per cercare di rendersi indipendente economicamente.
E'il primo lungometraggio dei giovani registi romani Matteo Botrugno e Daniele Coluccini: Et in terra pax, già presentato alle Giornate degli Autori del Festival di Venezia 2010 e ora nelle nostre sale distribuito da Cinecittà Luce.
Un microcosmo di destini ed esistenze all'ombra di un palazzo dimenticato, uno dei più lampanti errori di programmazione architettonica nella storia dell'urbanistica italiana, teatro di vicende dove i rabbiosi istinti di sopravvivenza, la volontà di riscatto e le contraddizioni dell'essere umano divengono lampanti.
Con uno sguardo lucido e freddo che contrasta le musiche sacre utilizzate (Vivaldi), Et in terra pax racconta il disagio dei nostri giorni, come Pasolini in Accattone descriveva il sopravvivere del sottoproletariato romano.
Nel nonluogo dove regna la solitudine esistenziale, l'incomunicabilità, l'isolamento, la disgregazione e il silenzio si genera la violenza. Fuori campo i rumeni che lavorano, l'uomo che sempre alla stessa ora si affaccia alla finestra per fumare, il rumore dei cani che abbaiano, ma noi non li vediamo o meglio li vediamo attraverso il racconto di Marco seduto sulla panchina ad osservare il mondo.
Ogni tentativo di redenzione è inutile, chi è innocente diventa vittima sacrificale: non c'è più nessuna speranza.“Se mangi, se cammini, se respiri, non vuol dire che sei vivo”, dice Marco. Guardare, osservare, riflettere forse può salvarci.