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In una coppia c’è sempre il momento nel quale qualcuno invoca o minaccia: “Dobbiamo parlare”. Lei, di solito, considerando la pigrizia e la viltà maschili. E lì le cose si complicano invece di chiarificarsi, il gioco si fa duro al posto di ammorbidirsi. “Le parole per dirlo”, come suonava un magnifico titolo di Marie Cardinal, sono infatti spesso logore o insufficienti, mentre il melodramma è in agguato al pari del comico. Se poi le coppie sono due, il confronto/scontro all’interno di ciascuna e fra l’una e l’altra può diventare esilarante nelle pieghe/piaghe della tragicommedia quotidiana.
Dobbiamo parlare s’intitola il nuovo film di Sergio Rubini, che arriva in sala dopo l’anteprima ottobrina alla Festa di Roma, sceneggiato dal regista con l’ottima Carla Cavalluzzi e con lo scrittore napoletano Diego De Silva reduce dalla vulcanica trilogia dell’avvocato Malinconico (nomen omen).
Prima del film, Rubini ha fatto un sapiente “rodaggio” teatrale allestendo uno spettacolo con i medesimi interpreti: se stesso e Isabella Ragonese (la coppia più giovane), Fabrizio Bentivoglio e Maria Pia Calzone (quella più matura e apparentemente più in crisi). I personaggi in cerca d’amore sono rispettivamente uno scrittore di successo e la sua compagna/collaboratrice trentenne; un famoso cardiochirurgo fedifrago e la moglie che lo ha appena colto in flagrante a causa dei soliti benedettissimi sms.
Il classico “tutto in una notte” va in scena nell’attico romano in affitto dello scrittore politicamente corretto e un po’ “Struzzo” (in una figurazione fa capolino il direttore editoriale di Einaudi Stile Libero, Paolo Repetti), L’unità di tempo, di luogo e di azione costituisce il sostrato essenziale del meccanismo narrativo che si dispiega fra recriminazioni e rivelazioni, ambizioni e agnizioni. Approdando a un dubbio atroce: “dobbiamo parlare”, certo, ma in fondo non era meglio restare “muti come pesci”? Bravi tutti. Superlativo il “prof” Bentivoglio, una faccia disincantata e delusa dell’Italia d’oggi, uno dei nuovissimi mostri.