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Deepwater Horizon
Il cinema degli effetti speciali e delle mirabolanti invenzioni visive stacca questa volta un biglietto di sola andata per l’inferno, e immerge la platea nelle fiamme del capitalismo e della retorica hollywoodiana. Il più grave disastro petrolifero della storia degli Stati Uniti diventa il pretesto per raccontare l’apocalisse, e Mark Wahlberg e compagni si trasformano nei nuovi supereroi del mare. Mentre il mondo attorno a loro brucia, la bandiera a stelle e strisce continua a sventolare. Ancora una volta assistiamo al grido di patriottismo USA, che gonfia il petto e non si vuole placare, anche quando servirebbe un po’ di sobrietà.
Ma che cosa è successo sulla Deepwater Horizon? Nel 2010, la piattaforma petrolifera situata al largo della Louisana ha preso fuoco. Una devastante esplosione ha distrutto l’impianto, con 126 lavoratori a bordo. Nella finzione, Mark Wahlberg veste i panni di Mike Williams, il capo tecnico elettronico. Il suo compito è controllare il corretto funzionamento delle attrezzature, ma quel 20 aprile capita l’imprevedibile. La società ha 43 giorni di ritardo sulla tabella di marcia, e dei controlli “francamente se ne infischia”. La Deepwater Horizon si trasformerà in un rogo di lamiere.
Peter Berg è un regista da finimondo che ama raccontare storie al limite. Col suo precedente Lone Survivor, ha narrato le gesta di un gruppo di Marines, impegnati in una missione suicida in un paesino dell’Afghanistan. Questa volta, abbandona i militari e si cimenta con l’esaltazione dell’uomo comune, che lotta per la patria & la famiglia. Il soldato si è messo al servizio del Paese e uccide per proteggere i cari rimasti a casa, mentre l’uomo che lavora in mezzo all’oceano combatte la sua guerra contro l’isolamento, e si sacrifica per il benessere comune. Entrambi sperano di tornare, entrambi sono raffigurati come martiri e guerrieri di un oggi pieno di insidie.
Deepwater – Inferno sull’Oceano è un film d’azione votato al baracconesco, che al massimo può solleticare un pubblico di bocca buona. Non c’è molto su cui riflettere: i personaggi svolgono il loro compito senza coinvolgerci nella drammaticità delle loro vicende. L’attacco al capitalismo non va oltre le due battute, poi gli effetti speciali salgono in cattedra e tutto finisce in un gran carnevale.
Mark Wahlberg si carica il film sulle spalle e si trasforma nell’eroe per caso: un padre di famiglia senza macchia e senza paura che vuole solo tornare a casa. La menzione d’onore va a Kurt Russel, un manager offshore che dopo venti minuti di doccia sopravvive alla prima esplosione sulla piattaforma. Ferito, dilaniato dai vetri e cieco da un occhio, compirà gesta sovrumane che farebbero impallidire anche il più forzuto dei supereroi. Provare per credere.
Questo nuovo film di Peter Berg è una girandola di esplosioni che non rende onore ai caduti. Può vantare pirotecnici giochi visivi, ma si perde nella retorica più spicciola. La tragedia potrebbe parlare da sola, non ha bisogno di orpelli e clamorose giravolte della cinepresa. Ma ormai, quando l’aquila americana vola alta in cielo, la morte va in scena come il più fragoroso degli spettacoli.