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Colonia
L’anno è il 1973. Lui è un fotografo tedesco prestato alla causa di Allende. Lei una hostess di stanza a Santiago per una manciata di giorni, prima di riprendere il volo. Il tempo di ritrovarsi, amarsi e perdersi di nuovo. Perché sfortuna vuole che siano i giorni del golpe di Pinochet, dei rastrellamenti casa per casa, della spedizione dei malcapitati presso l’ufficio torture. Lui viene preso, lei si fa prendere. Finiranno in un lager in cui si pratica uno pseudo cristianesimo senza misericordia né gioia. La scoperta del quale è tra le poche cose interessanti di questo romanzo d’appendice ritagliato da un opuscolo di Storia.
Diretto senza piglio da Florian Gallenberger, scontatamente esamine come i grigio-verde-marroni della fotografia di Kolja Brandt, ulteriormente affossato da personaggi piatti e lombrosiani (belli i buoni, brutti i cattivi) e da una sceneggiatura che regala il primo vero momento di adrenalina al minuto 96, Colonia val bene un passaggio televisivo sulla terza rete nazionale e conferma la mancata crescita recitativa dell’eterna bambina Emma Watson (che oggi ha 26 anni), capace di non lasciare traccia per l’intero film e di trascinare semmai nell’imbarazzo anche il più esperto Daniel Brühl.