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Agnus Dei ci ricorda quanto può essere terribile l’impatto degli ideali con gli orrori di cui è capace la nostra specie.
Il modo in cui la fede più incrollabile nel bene e nella giustizia reagisce o soccombe alle aggressioni della storia.
Un conflitto drammatico che il film della Fontaine – sceneggiato dalla regista insieme a Bonitzer, Karine e Vial, tratto da un fatto realmente accaduto – mette in scena nello spazio allegorico di un convento, il focolare di Dio, violato da un manipolo di soldati russi alla fine della seconda guerra mondiale.
Siamo nel 1945 in Polonia. Mathilde (Lou de Laâge) è una crocerossina che assiste i francesi feriti in battaglia in un ospedale di fortuna allestito sul campo. Finché un giorno una suora benedettina non la trascina in convento, dove sette delle sue consorelle sono in stato interessante, tra sofferenze fisiche e morali: pochi mesi prima un manipolo di soldati dell’Armata Rossa aveva preso d’assalto l’abbazia e stuprato le povere suore. Mentre la luce debole delle candele lotta per non spegnersi nelle tenebre, la fede – quella in Dio e quella in una società più giusta: Mathilde, da atea e comunista, è parimenti chiamata in causa – agonizza sotto i colpi inferti dal male.
Eppure dalla sofferenza può nascere (letteralmente) vita, anche se per ognuno l’esito è diverso: per una suor Maria (Agata Buzek) che sembra accettare la volontà del Signore trasformandola in grazia, c’è una madre badessa(Agata Kulesza) ingabbiata nei propri dogmi, incapace di venire a patti con la realtà al punto da lasciarsi morire fisicamente e spiritualmente. Ma le sfaccettature sono molte di più per fortuna e conferiscono al testo la giusta distanza ed elasticità ideologica.
Bello poi il tema dell’incontro, di una solidarietà femminile che trascende i rispettivi perimetri di fede – Mathilde capisce queste suore più di alcune delle loro consorelle. Un punto di vista moderno, che interessa molto il mondo di oggi e le sue diverse chiese. Prima fra tutte quella di Papa Francesco.