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A casa nostra
Nord della Francia. Pauline è un’infermiera a domicilio con due figli a carico e un padre pensionato, ex metalmeccanico e di fede comunista, da mantenere. Amata da tutti i suoi pazienti, la donna diviene tuttavia preda di un medico e politico locale, militante di un partito assimilabile al Front National, intenzionato a proporre la candidatura di Pauline alle imminenti elezioni comunali.
A complicare l'intreccio, interviene la figura di Stéphane, l'uomo di cui Pauline è innamorata ma che, segretamente, fa parte di un movimento squadrista impegnato in azioni punitive a sfondo xenofobo.
La carne al fuoco è tanta e ci vuole poco a capirlo: A casa nostra di Lucas Belvaux è un film politico che più non si può - in altri tempi si sarebbe detto “impegnato”, - che entra a gamba tesa nell’attualità del dibattito politico francese, europeo e mondiale, visti i tempi che corrono. Il volto di Pauline è quello di Émilie Dequenne, la strepitosa Rosetta dei Dardenne, ma l’andamento da fiction televisiva, la scarsa empatia suscitata dai personaggi (c’è persino il clone di Marine Le Pen), e la riflessione a buon mercato sul populismo imperante non sfondano la barriera della mediocrità.
Cinema nella media che pretende di sobbarcarsi contenuti scottanti, servendosi tuttavia di uno stile anodino che addormenta qualsiasi pretesa incendiaria, e dunque perfettamente adatto alla contemporaneità dei tanti rivoluzionari da tastiera del computer. Oltre ogni dubbio, è possibile affermare che dieci film di questo tipo non valgono dieci minuti di un’opera di Petri o, per restare in ambito francese, de La Haine di Kassovitz.