Chi lavora è perduto

FRANCIA 1963
Bonifacio B., di quasi 27 anni, si trova verso mezzogiorno in un giorno d'estate a girare per le strade assolate di Venezia. Il caldo, la necessità di ingannare il tempo e quella di prendere una importante decisione lavorativa, lo portano a vivere una confusione di ricordi diversi, pensieri sconnessi e fantasie esaltate. Ritornano alla sua mente alcune situazioni familiari e le varie fasi della sua educazione. Incontra Claudio, un amico degente agli Ospedali Marini e riaffiora alla sua mente un altro suo amico, Kim, che è finito per sempre in manicomio. In un ultimo delirante tentativo di cercare una soluzione al suo problema, Bonifacio immagina le varie scappatoie che potrebbe imboccare: da quella di tenutario di bordello a quella di impiegato modello, dallo scassinatore di banche all'attore o al falsario, dal regatante al portamangime per i colombi.
SCHEDA FILM

Regia: Tinto Brass

Attori: Sady Rebbot - Bonifacio, Pascale Audret - Gabriella, Franco Arcalli - Kim, Tino Buazzelli - Claudio, Piero Vida - Gianni, Enzo Nigro - Mauretto, Monique Messine - La modella, Carletto Chia - Bonifacio da bambino, Gino Cavalieri, Giuseppe Cosentino, Nando Angelini, Andreina Carli

Soggetto: Tinto Brass

Sceneggiatura: Tinto Brass, Franco Arcalli - collaborazione, Giancarlo Fusco - dialoghi

Fotografia: Bruno Barcarol, Alvaro Lanzoni - operatore

Musiche: Piero Piccioni

Montaggio: Tinto Brass

Scenografia: Raul Schultz

Costumi: Danilo Donati

Collaborazione alla regia: Franco Arcalli

Altri titoli:

In capo al mondo

Who Works Is Lost

Durata: 90

Colore: B/N

Genere: PSICOLOGICO DRAMMATICO

Specifiche tecniche: PANORAMICA

Produzione: MORIS ERGAS PER ZEBRA FILM (ROMA), FRANCO LONDON FILM (PARIGI)

Distribuzione: DEAR FOX

CRITICA
"Si è presentato a Venezia (...) con un film fuori de comune. Egli conosce bene la sintassi cinematografica, ma ad un certo punto la mette da parte e decide di esprimersi il più liberamente possibile (...) preferisce ricorrere all'ispirazione del momento piuttosto che a elaborate costruzioni stilistiche. (...) Il film divaga tra realtà e fantasia (e) cala di tono sul finale, proprio perché il regista s'è lasciato andare a delle distrazioni puramente superflue." (E. Marussig, 'L'Espresso', 8 settembre 1963)