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Indubbiamente è il record di candidature di La La Land (14 come il Titanic di Cameron ed Eva contro Eva di Mankiewicz) il dato più eloquente di questa prima manche degli 89° Academy Awards (premiazione finale il prossimo 26 febbraio). Ma è anche quello meno sorprendente.
Dopotutto il musical di Damien Chazelle è il favorito della vigilia, grande protagonista finora della stagione dei premi (pensiamo solo al record di statuette ottenuto ai Golden Globes), frontrunner della primissima ora, da quando cioè venne presentato in apertura a Venezia lo scorso 31 agosto.
Ecco, Venezia. La Mostra diretta da Alberto Barbera si conferma l’infallibile oracolo per i membri dell’Academy, i quali da qualche anno a questa parte premiano solo film passati al Lido, specie se in apertura: nel 2014 Gravity porta a casa sette statuette, tra cui quella alla regia; nel 2015 Birdman di statuette ne prende quattro, film e regia incluse; lo scorso anno l’Oscar al miglior film è del Caso Spotlight, che però non era l’apertura veneziana (ma pur sempre prima mondiale alla Mostra). Se due indizi fanno una prova, figuriamoci tre. Insomma sull’imminente e definitiva consacrazione del giovanissimo Chazelle (32 anni) non sembrano esserci dubbi.
Al Lido poi c’era anche Arrival di Denis Villeneuve, che segue La La Land per numero di candidature, ben otto (come l’outsider niggerlgbt Moonlight), anche se manca la più meritevole, quella ad Amy Adams come miglior attrice protagonista (snobbata anche per la performance in Animali notturni di Tom Ford, dimenticato anche lui).
L’alto numero di nomination conquistate da Arrival, comprese quelle per film e regia, è la conferma che lo sci-fi ha ormai la dignità dei kolossal, dei musical, dei melò, nel gran ballo dei premi. Cosa che ad esempio non è mai riuscita all’horror, altro vecchio campione del cinema pop di serie B.
I ritrovati buoni uffici della fantascienza presso l’Academy fanno ben sperare Villeneuve per l’anno prossimo (quest’anno c’è Chazelle, passa), quando il regista canadese potrebbe giocarsela con Blade Runner 2049, sempre che il film apra Venezia 74…
Ma il vero dato interessante di queste candidature – bocciatura dei grandi maestri a parte: Scorsese e Eastwood, anche se il grande scornato manco a dirlo è ancora una volta Pablo Larrain (ne' film ne' regia per Jackie) - è la rivincita delle minoranze (afroamericani in testa) esattamente un anno dopo la gran polemica di Spike Lee (#OscarsSoWhite, remember?) e la riverniciatura dell’Academy tanto dal punto di vista delle regole quanto nella composizione dei membri: la tematica razziale e la questione del diverso sono guarda caso al centro di quattro dei nove titoli che si contenderanno l’Oscar del migliore: Fences, Hidden Figures, Moonlight e Lion. Mai così tanti gli attori di colore in lizza: Denzel Washington (Fences), Mahershala Ali (Moonlight), Ruth Negga (Loving), Viola Davis (Fences), Naomie Harris (Moonlight), Octavia Spencer (Hidden Figures). Anche se la riabilitazione di Mel Gibson (Hacksaw Ridge però è davvero un gran film) rischia di confondere tutti.
Batte un colpo anche l’Europa: il nostro Fuocoammare cerca gloria tra i documentari, 55 anni dopo La grande olimpiade di Romolo Marcellini; Isabelle Huppert (Elle) si ritrova nella cinquina delle attrici e per l’animazione saranno ben due i film del Vecchio Continente a insidiare i gettonatissimi titoli di casa Disney (Moana e Zootropolis): La mia vita da zucchina (Svizzera-Francia) e La tartaruga rossa (Francia-Belgio-Giappone). Tanta (Nord) Europa anche nella cinquina dei film stranieri: un danese (Land of Mine), uno svedese (A Man Called Ove) e un tedesco (Toni Erdmann). E pazienza se sembra solo l’incipit di una vecchia barzelletta.