Il lavoro di Eddie Mannix come "fixer" dello studio inizia ancor prima dell'alba, quando deve arrivare prima della polizia per scongiurare l'arresto di una delle stelle della Capitol Pictures fermata per comportamenti poco ortodossi. Un lavoro mai noioso e senza orari. Ogni film prodotto dallo studio porta grane e Mannix ha il gravoso compito di trovare una soluzione per tutto. È l'uomo capace di far ottenere al prossimo film ispirato alle pagine delle Bibbia la benedizione delle autorità religiose, come la persona giusta per convincere e trattenere lo scontento regista Laurence Laurentz che vuole sbarazzarsi della star del western Hobie Doyle per il suo prossimo sofisticato lavoro prodotto dalla Capitol. Mentre corre dall'emergenza di un divo al dramma di un altro, Mannix deve fare i conti con i problemi personali della sensazionale DeeAnna Moran o trovare una spiegazione plausibile sugli ultimi sospetti comportamenti della superstar Burt Gurney. Come se le paturnie di questi enormi ego non fossero abbastanza per iniziare la giornata, Mannix deve confrontarsi con la più difficile crisi della sua carriera: uno degli attori più amati al botteghino, Baird Whitlock, è stato rapito proprio nel bel mezzo della produzione del peplum, "Ave, Cesare! - Hail, Caesar!", e un misterioso gruppo che si fa chiamare "Il Futuro" ha rivendicato il rapimento: o lo studio è pronto a sborsare oltre 100.000 dollari o possono scordarsi la loro gallina dalle uova d'oro. Passando da un problema all'altro, Mannix deve necessariamente evitare ogni possibile fuga di notizie, soprattutto per scongiurare la presenza dei nomi delle star dello studio sulle colonne di gossip scritte da due ostili sorelle, Thora e Thessaly Thacker. In realtà, si tratta solo dei nomi che non provengono dalle storie inventate che ogni tanto lascia uscire per una facile promozione con le lettrici delle due giornaliste. Per quest'uomo si tratta solo della solita giornata di lavoro.
SCHEDA FILM
Regia: Ethan Coen, Joel Coen
Attori: Josh Brolin - Eddie Mannix, George Clooney - Baird Whitlock, Alden Ehrenreich - Hobie Doyle, Ralph Fiennes - Laurence Laurentz, Jonah Hill - Joe Silverman, Scarlett Johansson - DeeAnna Moran, Frances McDormand - C.C. Calhoun, Tilda Swinton - Thora Thacker/Thessaly Thacker, Channing Tatum - Burt Gurney, Veronica Osorio - Carlotta Valdez, Michael Gambon - Narratore, Heather Goldenhersh - Natalie, Alison Pill - Sig.ra Mannix, Clancy Brown - Gracchus, John Bluthal - Professor Marcuse, Alex Karpovsky - Sig. Smitrovich, Geoffrey Cantor - Sid Siegelstein, Christopher Lambert - Arne Slessum, Basil Hoffman - Stu Schwartz, Natasha Bassett - Gloria DeLamour, Fred Melamed - Fred, Mather Zickel - Chunk Mulligan, Clement von Franckenstein - Senatore Sestimus Amydias, Jacob Witkin - Saul of Tarsus, Emily Beecham - Dierdre, Dolph Lundgren - Comandante sottomarino (non accreditato
Soggetto: Ethan Coen, Joel Coen
Sceneggiatura: Ethan Coen, Joel Coen
Fotografia: Roger Deakins
Musiche: Carter Burwell
Montaggio: Joel Coen, Ethan Coen
Scenografia: Jess Gonchor
Arredamento: Nancy Haigh
Costumi: Mary Zophres
Effetti: Dan Schrecker
Durata: 106
Colore: C
Genere: COMMEDIA
Specifiche tecniche: ARRIFLEX 535B, 35 MM
Produzione: JOEL E ETHAN COEN, ERIC FELLNER E TIM BEVAN PER WORKING TITLE FILMS, MIKE ZOSS PRODUCTIONS
Distribuzione: UNIVERSAL PICTURES INTERNATIONAL ITALY
Data uscita: 2016-03-10
TRAILER
NOTE
- FILM D'APERTURA AL 66. FESTIVAL DI BERLINO (2016).
- CANDIDATO ALL'OSCAR 2017 PER LA MIGLIOR SCENOGRAFIA.
CRITICA
"(...) perfettissimo James Brolin (...) bravissimo Alden Ehrenreich (...) due perfide Swinton al prezzo di una (...) Johansson copia conforme di Esther Williams (...) strepitoso Channing Tatum (...). Nell'incastro di cinema e vita, delizia cinefila, i Coen non scelgono la nostalgia né il mito ma follia e manipolazione (la montatrice Frances McDormand Coen si strangola con la pellicola) e il Cristo sandalone (riferimento forse non così casual) si specchia negli occhi magistralmente inespressivi del centurione Clooney nel circo di nani e ballerine, dove ognuno è l'uomo che non c'era: tutto virtuale, digitale. Divertentissimo, cinico, senza speranza se non nel business." (Maurizio Porro, 'Corriere della Sera', 10 marzo 2016)
"(...) forse non sarà un risultato all'altezza dei più memorabili messi a segno dagli impareggiabili fratelli (...), ma di sicuro è un gran divertimento. Tanto riuscito da essere in grado di dare soddisfazione al comune spettatore in cerca di evasione come al più sofisticato conoscitore dell'epoca e dell'epopea cinematografica evocata. (...) Mentre la storia centrale vede sparire dai radar il protagonista della più importante produzione in corso (...) (si tratta di George Clooney, stoico nell'immolarsi nella parte del fesso), tutto intorno si agita un piccolo mondo di ridicoli drammi che il vecchio Eddie Mannix deve governare. Quello, il cinema di Hollywood ancora (e non per molto) all'apice della sua potenza, la cui pochezza si stenta a credere tanto influente, ancora custode del segreto della propria magia incantatrice dietro la quale si cela un'umanità dalle risorse culturali e dal quoziente intellettivo più che limitati. 'Bestiame', attori e attrici segnatamente, come con cattiveria ebbe a dire Alfred Hitchcock. Ogni risvolto si richiama a uno dei 'generi' che all'epoca trascinavano legioni di fan a riempire le sale e ad ammirare i loro beniamini dello schermo. (...) Leggerezza da manuale. Compiaciuta immersione vintage che forse non lascerà il segno ma che porta comunque il segno di uno stile d'impareggiabile brillantezza." (Paolo D'Agostini, 'La Repubblica', 10 marzo 2016)
"Per assurdo che possa sembrare, i fratelli Coen non avevano ancora fatto un film su Hollywood. O meglio sì: 'Barton Fink', ma lì Hollywood era invisibile, la fabbrica dei sogni restava 'cosa mentale', per mimarne il funzionamento bastavano un albergo fatiscente e gli incubi dello sceneggiatore John Turturro. In 'Ave, Cesare!' invece la Hollywood anni 50 appare in tutto il suo malato fulgore. Un luogo in cui nulla funziona ma tutto scintilla. Un manicomio creato per far sognare il mondo che rischia in ogni momento di cadere in pezzi. Un universo parallelo in cui ogni cosa è al suo posto - gli studios, i divi, le maestranze, le convenzioni folli e accettate da tutti su cui si fondano i vari generi, musical, commedie, western, etc. - ma nulla funzionerebbe se un Grande Orologiaio non desse ogni giorno un colpetto qua e là. In 'Ave, Cesare!' questo Grande Orologiaio si chiama Eddie Mannix ed è liberamente ispirato a uno storico executive della Mgm (un fixer, uno che risolve tutti i problemi). Se il vero Mannix però era poco meno di un gangster, quello di Josh Brolin è quasi un dio nascosto che regna su questo mondo parallelo con imperturbabile efficienza. (...) La verità storica naturalmente non interessa i Coen. Hollywood è un condensato del mondo, anzi del cosmo, come il Midwest di 'A Serious Man', il Minnesota di 'Fargo' o la New York di 'A proposito di Davis'. E come in tutti i film dei Coen, ciò che conta davvero è la lotta tra l'ordine e il caos. (...) Gran divertimento comunque, e profondità fin troppo nascosta sotto la superficie. Peccato solo aver infilato tra gli sceneggiatori sovversivi un improbabile Marcuse da barzelletta. Anche i Coen ogni tanto dormicchiano." (Fabio Ferzetti, 'Il Messaggero', 10 marzo 2016)
"Prim'ancora di riferire su 'Ave, Cesare!', è opportuno collocarlo nel reparto che un giornalista del settore usava definire con un filo di disprezzo: 'roba per cinefili'. Ovviamente per noi l'etichetta non è negativa, però è vero che rivolgersi soprattutto agli adepti rappresenta un limite o meglio significa ricorrere a un ingrediente forte che facilmente distorce il sapore di un film: i Coen, habitué dei retroscena hollywoodiani, stavolta ne hanno forse usato troppo allestendo una commedia in bilico tra la sofisticata parodia, la nostalgia canaglia e l'album di foto-sketch autoreferenziali. Vogliamo dire che questo stesso spartito che ha stimolato e stimolerà in futuro la calda empatia delle platee festivaliere rischia di produrre un 'suono' alquanto tenue e diluito presso quelle composte da signori & signore che si sono limitati a pagare il biglietto. (...) Peccato (...) che il gioco delle citazioni oscilli spesso sul risaputo e il fiacco e che sul film aleggino i profili di Spielberg, Edwards, Allen e persino dei Coen di 'Il grande Lebowsky' nella parte di dominatori di se stessi." (Valerio Caprara, 'Il Mattino', 10 marzo 2016)
"Venticinque anni dopo 'Barton Fink', i Coen tornano a imbastire una black comedy centrata sulla Hollywood degli anni d'oro, mostrandone con graffio grottesco i risvolti meno edificanti. Ci sono scene divertentissime in questo film che può avere il limite di venir maggiormente apprezzato da chi è in grado di capirne le tante allusioni. (...) Anche qui, nello stile tipico delle surreali fantasie dei Coen, la farsa si colora di note metafisico-kafkiane e il tema etico assume valore fondamentale. Vedi Mannix, che un eccellente Josh Brolin interpreta con umorismo e calore umano come un pragmatista dotato di coscienza. E' lui il centro pulsante di questo affresco che, deformando ironicamente la realtà, si trasforma in riflessione sulla natura ambigua dello spettacolo, perennemente in bilico fra cialtroneria e momento di arte e verità." (Alessandra Levantesi Kezich, 'La Stampa', 10 marzo 2016)
"Se qualcuno vi dirà che 'Ave, Cesare!' (...) è 'solo' un amabile scherzo cinefilo non credetegli: andate a vedere il film e poi toglietegli il saluto. Essendo ambientato nella Hollywood del 1951, e mescolando personaggi autentici ad altri di finzione (...) è 'anche' un amabile scherzo cine filo, come no? Ma quella è la crosta, l'apparenza, lo zucchero sulla punta del cucchiaino che aiuta il bimbo recalcitrante a ingoiare la medicina. E la medicina è quanto di più salvifico si possa vedere al cinema di questi tempi, cura lo spirito e la mente, fa bene al cuore e al cervello. 'Ave, Cersare!' conferma come Joel e Ethan Coen siano due filosofi che si divertono a travestirsi da mattacchioni. 'Ave, Cesare!' è, a prima vista, il film gemello di 'Barton Fink'. Anche là eravamo a Hollywood (...) e anche in quel film il gioco dei personaggi 'a chiave', che alludevano a persone reali, era molto sfizioso. (...) Il punto di vista era però 'esterno' (...). 'Ave, Cesare!' è invece tutto 'dentro' la macchina-Cinema: Eddie Mannix (...) lavora per una major, anzi, 'è' quella major. (...) Altra differenza: Mannix è cattolico, non ebreo come Fink (e come i Coen, e come quasi tutti i produttori della vecchia Hollywood). Potrebbe sembrare un dettaglio, invece è il cuore del film: 'Ave, Cesare!' si apre e si chiude con Mannix che va in chiesa a confessarsi. Da uomo pio che frequenta Babilonia, ha una sua idea personale del peccato: dice compulsivamente al confessore che ha mentito a sua moglie promettendole di smettere di fumare. E quello sarebbe un peccato? In realtà Mannix affronta ogni giorno, e senza il minimo scrupolo, 'peccati' ben più gravi. (...) Si parla di Gesù, della croce, del peccato, di un'altra fede che all'epoca andava forte - il comunismo... (...) Che poi faccia anche ridere, 'Ave, Cesare!', è una benedizione per noi spettatori: ma è quasi secondaria." (Alberto Crespi, 'L'Unità', 10 marzo 2016)
"Vedere un film di Ethan e Joel Coen è come cenare nel proprio ristorante di fiducia: sai che non ne uscirai deluso. Certo, può capitare quel piatto meno riuscito, ma ogni scelta del variegato menu profuma di un sapore inconfondibile. È il 'Coen touch', un marchio di garanzia nella qualità cinematografica di cui 'Ave, Cesare!' (Hail, Caesar!) è il più recente e delizioso esemplare. Spumeggiante di star maiuscole, la nuova fatica dei cine-fratelli viventi più famosi d'America è una commedia che celebra d'ironia e di affetto la Hollywood dei 50. (...) Sconsiderato è il giudizio di filo-fascista emesso da alcuni critici verso 'Ave, Cesare!': questi non hanno colto lo sguardo totalmente arguto e (auto)ironico dei due fratelli del Minnesota, che si considerano eredi di quella giostra scintillante e fatale. Maccartisti e filo-sovietici, così come i leader delle diverse confessioni religioni sono pirandellianamente preposti ed esposti a quel grande set che si chiamava Golden Hollywood. I Coen giocano e si fanno giocare dai loro personaggi isterici, contraddittori e meravigliosi, tutti ancora profondamente di carne e ossa, creature squisitamente analogiche così ignare del digitale che verrà. Come resistere alla montatrice occhialuta (Frances 'Mrs Coen' McDormand, inarrivabile) che scompiglia capelli e fotogrammi in un caos irriverente? O come non farsi ammaliare dall'aitante ballerino marinaio Burt Gurney (Channing Tatum) di celate origini sovietiche che tanto ci ricorda il mitico Fred Astaire? Di loro e di tutta la giostra di cui sopra si fa reporter Tilda Swinton, splendida giornalista di gossip d'assalto sdoppiata in due gemelle. Ciascuno dei divi coinvolti da Ethan e Joel non ha esitato un istante al richiamo di appartenere a questo come a qualunque altro dei loro film." (Anna Maria Pasetti, 'Il Fatto Quotidiano', 10 marzo 2016)
"Piacerà certamente a due categorie di spettatori. I fedelissimi dei Coen (quelli che dai fratellacci accettano tutto, anche le bufale come 'Ladykillers') che già son partiti per la tangente e han collocato 'Ave, Cesare!' nel pantheon dei capolavori. E gli innamorati del cinema, quello del tempo perduto, quando la Metro era la Metro e assieme alla Warner alla Fox alla Paramount forniva sogni per sei generazioni future (e difatti sogniamo ancora a oltre mezzo secolo di distanza). Certo, la recherche lascia il tempo che trova ma rimane bello (e magari esaltante) identificarsi con Mannix e col suo sviscerato amore per la decima musa (solo l'amore giustifica quella sua febbrile attività, quando potrebbe per le doti eccezionali di manager trovare cento posti più comodi e meglio remunerati). E' possibile che buona parte del pubblico non si commuova davanti all'operazione nostalgia e nemmeno davanti all'agitarsi spesso a vuoto del personaggio principale (in altre parole che esca dal cinema coll'idea di aver assistito a un rutilante casotto). Be', forse non è un'idea sbagliata. La misura (mai compagna di viaggio dei Coen) è la grande assente di 'Ave, Cesare!', e di uno script che sparacchia tanto e non di rado a vuoto. Ma colla misura, col compitino corretto, non si fa quasi mai il cinema che conta. Nella filmografia dei fratelli, Cesare ha un buon posto accanto a 'Barton Fink' e al 'Grande Lebowski'. Per noi è un bel complimento." (Giorgio Carbone, 'Libero', 10 marzo 2016)
"I Coen sono sempre i Coen e non si smentiscono in questa cartolina d'amore indirizzata al cinema, irriverente, scanzonata, mai sopra le righe. Un'evidente critica allo 'star system' (e non solo quello dell'epoca d'oro), ma anche una riflessione su come sia cambiata la settima arte e non solo sul set. Le due gemelle giornaliste, interpretate da Tilda Swinton, sempre in cerca di scandali, che Mannix prova a tenere nascosti, sono agli antipodi con i giorni nostri, dove certi scoop vengono creati a tavolino per «far parlare» i giornali. Non è, però, un film per affermare che si stava meglio allora, ma una pellicola che fa pensare e che andrebbe vista e rivista per coglierne ogni aspetto più nascosto. Eppure, nonostante tutto, ci si diverte poco. Quello che promette sulla carta, alla fine, lo realizza solo in parte, manifestandolo più nelle intenzioni che nel reale svolgimento. Peccato." (Maurizio Acerbi, 'Il Giornale', 10 marzo 2016)
"Solo per amatori, verrebbe da dire. Per amatori dei fratelli Coen, naturalmente, soprattutto del loro lato più malinconico e disincantato (oltre che biblicamente «giobbesco»). E per amatori del vecchio cinema di una volta, quello capace di trasformare la cartapesta in sogni e i cani (anche a due gambe) in star. Di questo parla 'Hail, Caesar!' (...). Parla di un cinema che non c'è più e di chi sapeva difenderlo e farlo crescere, ma anche della stupidità umana, della superficialità, delle infatuazioni a sorpresa (sentimentali o politiche, fa poca differenza), della religiosità vera o presunta. E naturalmente del senso di colpa. (...) Diversamente da quella raccontata venticinque anni fa in 'Barton Fink' (dove gli studios si chiamavano anche là Capitol) questa Hollywood è divertente e spiritosa, oltre che magnificamente fotografata da Roger Deakins, e mai oltraggiosa (...). Fascino comunque mai esente da una buona dose di ironia, che si legge in tanti divertiti particolari: le discussioni «teologiche» sulla figura di Gesù, il balletto «omo» di Tatum ma anche la sua posa alla Washington secondo Leutze sulla barca che lo porta verso il sottomarino sovietico, il nome hitchcockiano di Carlotta Valdes o il filo di pasta che diventa uno «spaghetti western». E sicuramente ne dimentichiamo. Per non restare però prigionieri della sola dimensione parodistica, ecco il personaggio di Mannix, con i suoi sensi di colpa catto-tabagisti, il suo attaccamento al lavoro ma soprattutto con una dimensione di sofferto doverismo che si intreccia a un rassegnato fatalismo. E che riequilibra il film verso una malinconia esistenziale - «alla Giobbe» - che mi sembra la nota più autentica (e convincente) del cinema dei fratelli Coen. E di questo film." (Paolo Mereghetti, 'Corriere della Sera', 12 febbraio 2016)
"Un viaggio esilarante nella Hollywood dei tempi d'oro, quando gli studios producevano a getto continuo pellicole dei generi più diversi, creando stelle di prima grandezza. Eppure, sotto la patina scintillante, i problemi non mancavano e su tutto, all'alba degli anni Cinquanta, aleggiava la paura del comunismo, l'ombra delle persecuzioni maccartiste. Solo i fratelli Coen, con la loro carica di umorismo geniale mista a sconfinata cultura, potevano riuscire a tenere insieme, in 'Ave, Cesare!', tanti, differenti argomenti e piani di racconto (...)." (Fulvia Caprara, 'La Stampa', 12 febbraio 2016)
"(...) è l'incantesimo che, da tutto quel casino, si materializza sullo schermo - non la realtà - a cui rendono omaggio i Coen, con un gusto della miniatura che ricorda Wes Anderson, in uno dei film più caldi e affettuosi che abbiano mai fatto. Un film da fan, e una cartolina comica d'America che evoca il viaggio nella politica washingtoniana 'Burnt After Reading - A prova di spia' e la vignetta capitalista 'Mr. Hula Hoop' senza mai sfiorare le vette di 'Il grande Lebowski'. (...) Secondo film sugli Usa della Guerra fredda su copione firmato dai Coen, quest'anno, 'Ave Cesare!' è , a sorpresa, il double bill perfetto di 'Il ponte delle spie'. Buffissime scene di prosaico backstage sono intessute ai magnifici sogni prodotti dalla «fabbrica». Nelle ricostruzioni di balletti acquatici alla Esther Williams, di western musicali come quelli di Roy Rogers, di set indimenticabili (la casa sul mare di 'È nata una stella'...) e di una splendida coreografia di marinai che omaggia Gene Kelly (con Channing Tatum, in smagliante forma Magic Mike), realizzate in alcuni dei teatri di posa storici di Hollywood, la satira abituale dei Coen si scioglie al contatto della loro love story con il cinema. 'Ave, Cesare!' è anche un omaggio alla straordinaria quantità di talento che animava gli ingranaggi dello studio-system. L'energia forsennatamente contagiosa di questo candy store che hanno amato fin da bambini (i fratelli sono nati negli anni 50), il suo mix di magia e realtà terra terra quelli delle selvagge decostruzioni hollywoodiane di Mel Brooks, e che Robert Altman aveva saputo comunicare in un unico, oggi mitico, ininterrotto, movimento di macchina all'inizio di 'The Player'. Meno teorici di Mel Brooks e con meno cinismo di Altman (...), anche i Coen inseguono la materia misteriosa, intangibile, che salda ciò che succede fuori e dentro allo schermo. Ma, in quel senso, 'Ave, Cesare!' si ferma molto prima di grandi riflessioni poetiche del genere, come 'The Three Amigos', di John Landis." (Giulia D'Agnolo Vallan, 'Il Manifesto', 12 febbraio 2016)